Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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mercoledì 18 ottobre 2017

COMANDANTE ROJDA FELAT, HASTA LA VICTORIA!





non ha la copertina dei nostri tg, non ha nessuna solidarietà delle femministe borghesi, che ci hanno già regalato la Boschi, la Gelmini e le "quote protette" per carriere di potere, oggi impegnate a sostenere i giusti e 'lauti' risarcimenti post factum di attrici e donne dello spettacolo, non è filo/americana, è la compagna curdo-siriana del Ypj (Unità di protezione delle donne) che ha comandato le Forze Democratiche Siriane alla liberazione di Raqqua dai tagliagole dell'ISIS/

le "eroiche" truppe USA non erano sul terreno, non vogliono far torto al loro amico fascista Erdogan e un favore al comunista 'terrorista' Ocalan, dopo aver armato i talebani antisovietici... (fe.d.)


corrispondenze e documentazione di prima mano di Giuliana Sgrena
http://giulianasgrena.globalist.it/



È sconvolgente l’omertà della stampa per il modo come è stata data la notizia della liberazione di Raqqa da parte delle Forze democratiche siriane con in prima fila le kurde del Ypj. È stata liberata la «capitale» dello Stato islamico, dove l’Isis di al Baghdadi è nato è cresciuto, dove la barbarie è stata consumata per diffondersi in Siria e in Iraq. Con la liberazione di Mosul e, soprattutto, di Raqqa i jihadisti più feroci perdono un punto di riferimento, d’ora in poi mancherà loro il terreno sotto i piedi. Letteralmente. E non è poco. Dove manderanno gli aiuti i loro sostenitori?

La liberazione è costata molto sia alla popolazione civile che ai combattenti, certo hanno avuto l’aiuto degli Usa, ma i marine non erano sul terreno. È forse questo il motivo che ha impedito ai media (soprattutto alle tv nostrane) di dare il dovuto risalto alla notizia? Certo non c’era la bandiera a stelle e strisce come a Baghdad e non è stata possibile una foto che esaltasse la potenza americana.
Certo però le foto erano belle, con le combattenti donne radiose, immagini insolite per uno scenario di guerra e così la stampa se l’è cavata con una foto-notizia in prima pagina. Ma le comandanti, con il viso deciso e orgoglioso, hanno dichiarato: «combattiamo per liberare le donne del Rojava». Un altro motivo per esaltare le foto ma non le parole di queste donne. La rivoluzione è femmina e fa paura a tutti e soprattutto ai paesi confinanti, come la Turchia, dove Erdogan fa insegnare a scuola che le donne devono obbedire al marito.
Il Rojava è un mondo a parte, ma potrebbe contaminare i regimi più reazionari della regione, anche perché si è ispirato alle teorie di Ocalan. E la dittatura turca è la più vulnerabile perché il virus è già diffuso, le kurde e i kurdi provenienti dalla Turchia che hanno combattuto a fianco del Ypj e del Ypg non abbandoneranno la loro lotta. L’esistenza di un’entità come il Rojava – libero, democratico, laico, con parità di genere e rispettoso dell’ambiente – che non vuole l’indipendenza ma una autonomia dalla Siria - e questo è un altro punto di forza perché eviterà lo scontro ingaggiato dal Kurdistan iracheno con Baghdad – sarà una spina nel fianco di tutto il Medioriente. E le donne del Rojava sono un esempio anche per noi, hanno saputo combattere senza militarizzare la loro mente e senza perdere di vista l’obiettivo principale.

Giuliana Sgrena


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