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L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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lunedì 30 luglio 2012

Lo scrittore Franco Arminio scrive su Taranto



A Taranto sono tre le città da recuperare

Franco Arminio su Il Manifesto del 29 luglio 2012

L'apocalisse di Taranto prima che nelle cartelle cliniche è nella forma della città: una bellissima città della Magna Grecia circondata una cintura di ferro, simbolo di come l'Italia sia passata dalla civiltà contadina alla modernità incivile.

Taranto è una città apocalittica, è un'apocalisse grigia, a lento rilascio. C'è una fabbrica che si è presa il mare, la terra, il cielo della città e adesso si prende anche il lavoro. Bisogna fermarsi e ragionare, si può enfatizzare l'importanza del lavoro o quella della salute, comunque siamo di fronte a un vicenda cruciale.
L'apocalisse di Taranto prima che nelle cartelle cliniche è nella forma della città: una bellissima città della Magna Grecia circondata una cintura di ferro, simbolo di come l'Italia sia passata dalla civiltà contadina alla modernità incivile. Una storia di trasformazioni che hanno cambiato il volto dell'Italia, ma non i rapporti tra dominati e dominanti.
Gli operai di Taranto provengono spesso dalle campagne ioniche, spinti dal mito del posto fisso. Negli anni sessanta in quella che allora si chiamava l'Italsider andò a dir messa anche il papa. E valenti documentaristi filmavano una fabbrica che aveva nella sua grandezza il suo mito. Insieme all'industria è cresciuta la città nuova, i negozi, gli uffici del terziario. Tutto si è mosso in un direzione che pareva di avanzamento e che col passare del tempo si è configurata come un abbraccio mortale, da città sviluppata a città impolverata: la fabbrica, il quartiere Tamburi e il cimitero, uno a fianco all'altro.
Ora la faccenda non può essere risolta con un intervento pubblico teso a rendere la fabbrica meno nociva. E bisogna sempre considerare che magari fra vent'anni scopriremo che era inaccettabile ciò che adesso consideriamo accettabile. In ogni caso il punto di partenza deve essere la condizione degli operai. Perdere il posto è una beffa ulteriore e insopportabile. Ed è singolare che lo stesso padrone abbia una fabbrica al sud che inquina il doppio di quanto inquina al nord.
Forse è la stessa logica che porta il padrone a indennizzare gli operai vittime del petrolchimico di Marghera e non di quello diBrindisi. La stessa logica che ha portato a riempire di rifiuti tossici le campagne del casertano e di tanti altri luoghi del sud: c'è sempre stato qualcuno, camorrista o semplice cittadino, che ha pensato al denaro più che alla salute, anche perché il denaro si prende subito, le malattie arrivano più lentamente.
A Taranto non c'è solo la fabbrica, c'è anche un meraviglioso museo archeologico, c'è una città vecchia sopra un'isola. È lecito chiedersi se è giusto mettere soldi su una fabbrica che non sarà mai innocua: l'acciaio non si fa coi guanti bianchi. È lecito chiedersi se non è il caso di orientare l'investimento anche in un grande piano di recupero del centro antico, per restituire alla Puglia e all'Italia un luogo importante.
È veramente il caso di spendere bene il tempo. Per studiare interventi migliorativi, ma anche per capire che la città deve da subito ricostruire le macerie del suo centro storico: nessuna città italiana ha un centro che sembra reduce da un bombardamento. Ci vuole una politica all'altezza di un luogo straordinariamente bello e complesso: c'è la fabbrica, ci sono gli operai, ma ci sono anche i contadini intorno alla città, anche loro hanno un lavoro, anche loro hanno diritto a essere tutelati. E hanno diritto a essere tutelati i bambini e gli anziani di Taranto. E anche gli ipocondriaci: le persone che tendono a sviluppare malattie immaginarie trovano tutte le condizioni per accrescere le proprie ansie. Se una mattina ti svegli con un linfonodo ingrossato fai presto a pensare che il tumore è venuto a visitare pure a te, fai presto a pensare che non è stato fabbricato nel tuo corpo, ma nella fabbrica.
Ci sono tre città: la città nuova, la città fabbrica, la città antica. Negli ultimi decenni le prime due hanno esiliato la terza sulla sua isola, gli hanno assegnato il ruolo di accogliere lo spirito accidioso della città. Questo modello che cammina su una gamba sola non è più sostenibile. Lo deve capire la classe dirigente locale e nazionale mettendo a disposizione risorse non solo per il padrone, ma per i tarantini, costruendo un nuovo modello basato sull'equilibrio tra le diverse opportunità: il porto, il museo, la città vecchia. Dare salute a queste tre realtà di fatto significa rendere la città meno dipendente dalla grande acciaieria. Come si dice in questi casi, è una grande sfida, una sfida che non può ridursi agli aggiustamenti che non aggiustano niente. E nonostante gli errori di questi giorni le uniche figure meritevoli di rispetto restano gli operai: quello che stanno facendo ci dice che esiste l'egoismo degli sfruttati, ma è sempre meno grave dell'egoismo degli sfruttatori.

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