Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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domenica 30 dicembre 2012

martedì 25 dicembre 2012

Pucciarelli su Migromega: di che deve giustificarsi Ingroia?


Antonio Ingroia si candida e nel farlo deve chiedere pure scusa. Ovvio: dopo che per decenni abbiamo avuto come leader politici puttanieri, banchieri, ladri conclamati, gente in odore di mafia e burocrati che a 8 anni facevano i discorsi con presente Palmiro Togliatti, appena ti arriva una persona per bene – sulla cui onestà neanche il peggior nemico ha mai osato proferire parola – gli si domanda: «Oh ma sei diventato scemo?».

E allora Ingroia è lì, in balia di conduttori televisivi e commentatori diventati improvvisamente rigorosissimi, a doversi giustificare. Nel Paese delle controriforme, degli assassini che tornano a casa omaggiati dal Capo dello Stato, del pensiero unico dominante per cui dopo un anno di governo Monti tutti gli indici economici sono peggiorati eppure «Monti ha messo a posto i costi», delle grandi opere che vanno fatte per forza ma nessuno ha capito perché, dei grandi manager osannati come eroi e che poi si rifanno sulla pelle degli operai non rispettando le sentenze, ecco in questo Paese un magistrato che ha portato avanti le proprie idee senza girarsi dall’altra parte – le idee della nostra Costituzione – passa per un sovversivo.
Ed è vero, probabilmente: Ingroia è un sovversivo rispetto all’Italia che ci troviamo davanti. Dove la destra è in balia di un vecchio e schizofrenico miliardario, dove il centro è in balia come sempre dei voleri del Vaticano – scusi, ma l’Imu? – e dove la sinistra è in balia dei dettami neoliberisti di Bruxelles, tacciati per impegni irrinunciabili: tagli al welfare e ciao.
L’Italia dei normali invece chiede impegni veri e forti per combattere l’evasione e la corruzione; l’Italia dei normali sa che il 10 per cento della popolazione detiene il 50 per cento della ricchezza e forse accanirsi con pensionati e precarie non è eticamente corretto; non chiede missioni militari ma diritti sociali e civili; l’Italia dei normali pretende il lavoro per tutti, un lavoro dignitoso, e lo pretende giustamente perché è su quello che si fonda la nostra Costituzione.
Per questo, nel Paese del mondo alla rovescia camminare in direzione ostinata e contraria non è un vezzo. È un dovere.
PS. Silvio Berlusconi è stato premier tre volte dopo essersi misurato con il voto, per fortuna e purtroppo. Monti vuol esserlo la seconda volta, e anche questa senza candidarsi. Nel Paese alla rovescia succede, e succede con estrema naturalezza.


di Matteo Pucciarelli

FONTE: MICROMEGA ONLINE


domenica 23 dicembre 2012

IO CI STO -- I dieci punti










I promotori sono espressione della società civile e della politica pulita che vuole costruire un’alternativa di governo al berlusconismo e alle scelte liberiste economiche, sociali e culturali del governo Monti.



L’alternativa di governo si costruisce con una forza riformista che ha il coraggio di un proprio progetto per uscire dalla crisi e rilanciare l’Italia finalmente liberata dalle mafie e dalla corruzione.



Abbiamo come riferimento imprescindibile la Costituzione Repubblicana, a partire dall’art. 1 secondo cui il lavoro deve essere al centro delle scelte economiche. Per noi l’Unione Europea deve diventare autonoma dai poteri finanziari con organismi istituzionali eletti dai popoli ed è fondamentale il cambiamento della Casta politica e burocratica italiana mentre lo sviluppo del mezzogiorno è l’unica scelta per unificare il Paese.







1) Vogliamo che la legalità e la solidarietà siano il cemento per la ricostruzione del Paese;



2) Vogliamo uno Stato laico, che assuma i diritti della persona e la differenza di genere come un’occasione per crescere;



3) Vogliamo una scuola pubblica che valorizzi gli insegnanti e gli studenti con l’università e la ricerca scientifica pubbliche non sottoposte al potere economico dei privati e una sanità pubblica con al centro il paziente, la prevenzione e il riconoscimento professionale del personale del settore;



4) Vogliamo una politica antimafia nuova che abbia come obiettivo ultimo non solo il contenimento, ma l’eliminazione della mafia, e la colpisca nella sua struttura finanziaria e nelle sue relazioni con gli altri poteri, a cominciare dal potere politico;



5) Vogliamo che lo sviluppo economico rispetti l’ambiente, la vita delle persone, i diritti dei lavoratori e la salute dei cittadini, e che la scelta della pace e del disarmo sia strumento politico dell’impegno dell’Italia nelle organizzazioni internazionali, per dare significato alla parola “futuro”. Vogliamo che la cultura sia il motore della rinascita del Paese;



6) Vogliamo che gli imprenditori possano sviluppare progetti, ricerca e prodotti senza essere soffocati dalla finanza, dalla burocrazia e dalle tasse;



7) Vogliamo la democrazia nei luoghi di lavoro, il ripristino del diritto al reintegro se una sentenza giudica illegittimo il licenziamento e la centralità della contrattazione collettiva nazionale;



8) Vogliamo che i partiti escano da tutti i consigli di amministrazione, a partire dalla RAI e dagli enti pubblici, e che l’informazione non sia soggetta a bavagli;



9) Vogliamo selezionare i candidati alle prossime elezioni con il criterio della competenza, del merito e del cambiamento;



10) Vogliamo che la questione morale aperta in Italia diventi una pratica comune e non si limiti alla legalità formale, mentre ci vogliono regole per l’incandidabilità dei condannati e dei rinviati a giudizio per reati gravi. Vogliamo ripristinare il falso in bilancio e una vera legge contro il conflitto di interessi ed eliminare le leggi ad personam.







Queste sono alcune delle ragioni per un governo democratico di cambiamento.



Per realizzare questi obiettivi si decide di aprire il confronto con i movimenti e le forze democratiche del Paese.   MANIFESTO PER LA CONVOCAZIONE DELL’EVENTO

DEL 21 DICEMBRE A ROMA AL TEATRO CAPRANICA

giovedì 13 dicembre 2012

Docenti precari: dovete assumerli dice l'Unione Europea

Scuola / L'ANIEF CHIEDE DI APPLICARE UNA DIRETTIVA DEL 1999


L'illegalità in cui lo stato italiano vive da 13 anni è stata più volte condannata dai giudici del lavoro. A Trani, una sentenza ha trasformato una decina di contratti a tempo determinato in assunzioni stabili. Lo Stato è stato condannato al pagamento di 25 mila euro a ricorrente per abuso di contratti a termine e al pagamento degli scatti biennali di anzianità. L'Anief, e la Flc-Cgil, fanno sapere di avere presentato 8 mila denunce, e un centinaio di casi sono stati già discussi da Nord a Sud. Ieri la Commissione Europea ha confermato l'esistenza di un'indagine «sull'apparente assenza di veri rimedi quando c'è abuso di questo tipo di contratti per tutto il personale scolastico, non solo insegnante».

La Commissione ha ricordato che «la direttiva chiede che si adottino delle misure e le stiamo aspettando da parte dell'Italia». Ma l'Italia non intende soddisfare questa richiesta al punto che, nel 2011, ha emanato una legge (la 106) con la quale ha derogato alla direttiva comunitaria e ha escluso di poterla adottare nella scuola. Per allentare la presa della Commissione è stato previsto un piano triennale di assunzione dei precari (all'incirca 20 mila all'anno) che però è giunto al termine. Le prospettive di stabilizzazione, nella scuola come in tutta la pubblica amministrazione, non sono rosee. Il ministro della funzione pubblica Patroni Griffi ha escluso questa possibilità, sebbene orma i il 15% del personale sia precario e, stando ai dati dell'Aran, negli ultimi sei anni sono scomparsi 200 mila posti di lavoro, di cui la metà sono precari e l'altra metà di ruolo. «Se il nostro Paese vuole stare in Europa - afferma Pacifico - deve obbligatoriamente rispettare le procedure che Bruxelles impone sul diritto del lavoro e sulle assunzioni dei cittadini che vi operano». La Commissione Europea ha avviato una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia per l'abuso dei contratti a tempo determinato nella scuola.

La svolta è arrivata pochi giorni dopo la consegna di centinaia di denunce presentate dai docenti precari attraverso il sindacato Anief. La settimana scorsa il segretario Marcello Pacifico si è recato a Bruxelles e a Strasburgo per sollevare il caso che aprirà la strada ad una serie infinita di denunce. Pacifico sostiene che nei prossimi mesi saranno almeno 8 mila persone a ricorrere in Europa per aprire altrettante procedure di infrazione.Un caso unico nella storia comunitaria. I tempi del giudizio saranno abbastanza ristretti. In un mese la Corte europea valuterà se la denuncia è ammissibile e in un anno potrà essere trasformata in procedura di infrazione. Se il legislatore italiano non si adeguerà alla direttiva, verrà messo in mora e condannato a pagare una multa che può arrivare fino a 8 milioni di euro. Soldi che non saranno destinati ai ricorrenti, ma alle istituzioni europee.

Dal 1999 i governi italiani non rispettano la direttiva comunitaria n˚70 che obbliga i datori di lavoro ad assumere a titolo definitivo il personale che ha svolto almeno 36 mesi di servizio negli ultimi 5 anni. Una situazione che riguarda la maggioranza dei 200 mila precari che lavorano nella scuola, 30 mila sono iscritti nella quarta fascia di insegnamento, 136 mila sono i docenti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento, e c'è anche il personale amministrativo. Tutti vengono assunti all'inizio dell'anno scolastico per una o più supplenze, in una o più scuole, e vengono licenziati il 30 giugno, al termine delle lezioni e degli scrutini.

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ALMENO 8 MILA Nei prossimi mesi, dopo la procedura d'infrazione avviata dalla Comunità europea, saranno almeno 8 mila i docenti a ricorrere contro un'illegalità di Stato che dura da 13 anni   Fonte: il manifesto
Autore: Roberto Ciccarelli

sabato 8 dicembre 2012

Il paradosso di Roszak nel mare di Taranto

Theodore Roszak, studioso americano, ha constatato un paradosso: prima l’uomo crea la macchina e poi l’assume come modello ideale da imitare. In definitiva, l’uomo si è rivelato capace di sottomettere la natura al suo volere, ma al prezzo di trasformare la realtà in cui vive in “un universo di alienazione congelata”, di rendere il dominio dell’universo “un possesso senza valore”. Vivere vuol dire invece partecipare alla realtà, “vedere, toccare, respirare”, perché qui risiede il fondamento ultimo dell’esistenza. [cfr. Theodore Roszak, La nascita di una controcultura. Riflessioni sulla società tecnocratica e sulla oppressione giovanile, Feltrinelli, 1971 (1968); dello stesso Roszak si veda, The voice of the Earth, Simon and Schuster, New York, 1992 e con Mary Gomes, Allen Kanner, Ecopsychology, Sierra Club Books, San Francisco, 1995].


Il termine ecopsicologia nasce nel 1989, con l’obiettivo di unificare con un unico termine diversi filoni di lavoro già esistenti, ognuno con diverso nome: psicologia verde, ecologia transpersonale, ecoterapia, ecc.. Un gruppo di accademici di Berkeley – Elan Shapiro, Alan Kanner, Mary Gomes e Robert Greenway – creano un gruppo di studio per discutere del contributo che la psicologia può dare a una diversa gestione della contemporanea crisi ecologica. La pratica dell’ecopsicologia non è legata a tecniche specifiche, ma alla capacità di creare percorsi che permettano di far sperimentare, a individui e gruppi, un più profondo senso di connessione con la dimensione naturale e di integrità personale. Ma l’ecopsicologia può considerarsi terapia dell’anima solo se nasconde a se stessa la radice causale dei sintomi, radice di classe.

Quale rapporto esiste tra Roszak e l’ecopsicologia con la vicenda dell’Ilva di Taranto? Forse nessuno, se non fosse che per i cittadini e i lavoratori della città jonica anche le ripercussioni psicologiche sono devastanti e nessun decreto calato dall’alto potrà cancellarne le conseguenze.

Sul piano del lavoro: la minaccia della perdita del proprio vitale sostentamento si coniuga con una coscienza di classe dimezzata; il proprio lavoro, già in pericolose situazioni di sicurezza, uccide.

Sul piano della salute: ognuno ha il timore delle forme patologiche che la devastazione ambientale può produrre, iniziando un calvario senza speranza.

Sul piano dell’ambiente: vedere trasformato il proprio luogo, il territorio in cui si è radicati, in un sito inquinato in cui si perde identità e senso di appartenenza.

E’ un furto irreparabile: il profitto di pochi rompe l’integrità psicofisica non di un singolo individuo, ma dell’intera collettività. Anche i limiti dell’ecopsicologia annegano nel mare di Taranto.

(Ferdinando Dubla)

mercoledì 5 dicembre 2012

giovedì 29 novembre 2012

Lo Stato espropri lo stabilimento ILVA di Taranto.






COMUNICATO STAMPA



Oggetto: Lo Stato espropri lo stabilimento ILVA di Taranto.



Il Comitato Federale del PdCI jonico, riunito d’urgenza dopo l’epilogo della vicenda legata all’ILVA di Taranto ha ribadito le recenti dichiarazioni del Segretario nazionale On. Oliviero Diliberto, intervenuto a Taranto proprio per le questioni legate al lavoro nel capoluogo tarantino e non solo dell’ILVA (non dimentichiamo la gravissima situazione dei lavoratori del call center).



Pertanto il PdCI jonico è solidale con i lavoratori dell’ILVA e dell’indotto e sosterrà tutte le iniziative utili a sollecitare azioni di pressione sui centri decisori di queste delicatissime questioni che vanno affrontate con urgenza e con risoluzioni definitive nel rispetto della dignità della massa enorme di lavoratori coinvolti, colpevolmente dal gruppo Riva, che potrebbero scontare situazioni di crisi sociale.



Riteniamo che il Governo e tutte le forze politiche che lo sostengono e di opposizione determini l’esproprio per pubblica utilità dello stabilimento di Taranto; riteniamo che non è più il tempo dello scarica barile, nel senso che non tolleriamo che si scarichi la responsabilità dello status attuale alla Magistratura che invece va sostenuta e sollecitata a continuare nella sua azione.

L’esproprio è previsto anche nella nostra Costituzione proprio per tutelare i lavoratori e i cittadini in situazioni insostenibili economicamente e socialmente, vista anche l’incapacità del management ILVA, nell’ affrontare situazioni tecniche e legali e nella sostanziale ritrosia ad investire in ristrutturazione tecnica e ambientale per l’acquisizione dell’AIA.



Il PdCI jonico sarà nei prossimi giorni in piazza per affiancare la lotta dei lavoratori, per informare la popolazione e chiedere con una petizione l’intervento dello Stato, ribadiamo risolutivo, con l’appoggio della cittadinanza jonica.





TARANTO LI, 28-11-2012

Partito dei Comunisti Italiani

FEDERAZIONE PROVINCIALE

TARANTO


lunedì 26 novembre 2012

PRIMARIE: DILIBERTO, BUON RISULTATO VENDOLA, ADESSO CON BERSANI PER FAR CONTARE IL LAVORO



"Dal primo turno delle primarie è emersa una grande domanda di partecipazione, di democrazia e di cambiamento. Vendola raccoglie una buona affermazione, soprattutto al Sud, dove gli effetti della crisi sono più forti." Lo afferma Oliviero Diliberto, segretario nazionale del Pdci, che prosegue: "Confermiamo da subito il nostro impegno a sostegno di Pier Luigi Bersani al secondo turno. Dal nostro punto di vista è necessario far contare le ragioni del lavoro, e sicuramente, tra i due candidati in campo, Bersani è quello che interpreta meglio un modello di Italia aperta e solidale alla quale ci sentiamo più vicini."

domenica 25 novembre 2012

PRIMARIE: DILIBERTO, IMPORTANTE APPELLO DI VENDOLA



"L'appello agli uomini e le donne della sinistra di Nichi Vendola è molto importante. In gioco c'è la politica dei prossimi anni: bisogna superare le politiche liberiste del governo Monti e invertire la rotta. Non possiamo stare a guardare: domenica il Pdci parteciperà alle primarie e voterà convintamente Nichi Vendola."

venerdì 23 novembre 2012

SCUOLA PUBBLICA: difendiamo il vero investimento del futuro


Sciopero della scuola pubblica per la scuola pubblica



Logo FLC CGIL

Sciopero scuola 24 novembre: appello al mondo della conoscenza

Manifestazione nazionale a Roma della FLC CGIL, Piazza Farnese ore 10

Non solo la scuola ma tutto il mondo della conoscenza è in ginocchio.
I tagli confermati all'Università (altri 400 milioni di euro) e agli Enti di Ricerca insieme al blocco di fatto delle assunzioni, lo stato di sostanziale abbandono dell'Alta Formazione Artistica e Musicale, stanno letteralmente distruggendo uno dei maggiori patrimoni di competenze del nostro paese. La chiave per un futuro migliore.
La condizione dell'ENEA con i laboratori che chiudono in molte parti del paese, dell'INGV con i contratti in scadenza al 31 dicembre e il rifiuto di prorogarli mettendo a rischio la sorveglianza sismica e vulcanica, così come dell'ISPRA, oppure la situazione dei precari dell'ISFOL, o i lavoratori dell'INRAN il cui stipendio è perennemente a rischio, solo per fare alcuni esempi, ci raccontano della condizione di sbando in cui versa la seconda rete di ricerca. Il prelievo forzoso sui fondi di progetto operato dal CNR rappresenta poi un'onta alla storia di questa istituzione già oltraggiata dai ripetuti tagli e da un riordino insensato.
L'utilizzo delle esternalizzazioni coperte con il velo delle fondazioni, vedi il caso di Messina come di altre, è la cartina di tornasole dello smantellamento delle università che l'ulteriore taglio al fondo ordinario aggraverà. L'espulsione in massa dei lavoratori, ad iniziare da coloro che operano nelle ditte esterne e dai precari, produrrà il crollo dell'offerta formativa e dei servizi agli studenti.
L'obiettivo del governo Monti sulla scia del pensiero liberista che alberga in molti dei suoi sostenitori ed è ben espresso nella linea attuale della commissione Europea è quello di chiudere la maggioranza degli enti di ricerca e delle università a partire da quelle meridionali.
Non saranno necessari decenni per raggiungere questo obiettivo ma 3 o 4 anni al massimo.
Non sono in gioco solo tagli lineari ma vere e proprie scelte di natura politica e ideologica.
Il Paese secondo Monti non può più permettersi queste istituzioni come gran parte della sua scienza di base e applicata e dell'istruzione superiore.
Nell'AFAM la mancata definizione di un quadro normativo completo che dia certezze a tutto il sistema, la progressiva ed inesorabile precarizzazione della docenza, il blocco triennale (2012- 14) degli scatti di anzianità secondo le medesime modalità della scuola ma senza alcuna possibilità di recupero, la totale mancanza di risorse per investimenti e ricerca, i finanziamenti per il funzionamento ordinario ridotti al lumicino, segnalano chiaramente la volontà di ridimensionare l'intervento pubblico nel settore, al di là delle propagandistiche affermazioni sulla importanza strategica della formazione artistica per lo sviluppo culturale, sociale ed economico del nostro paese.
Noi diciamo NO. E lo diciamo a Monti come a tutta la politica. Non c'è democrazia, non c'è sviluppo, non c'è lavoro né cittadinanza senza istruzione e ricerca. L'unico spread che ci interessa è quello del sapere che Monti ha aggravato.
Il 24 novembre sarà in piazza certamente la scuola ma facciamo appello alla partecipazione di tutti gli studenti e del personale degli enti di ricerca, delle università e delle istituzioni AFAM, affinché il movimento si allarghi già a partire da questa giornata per cambiare il futuro del nostro Paese.
Cordialmente
FLC CGIL nazionale

Università e AFAM
AFAM: la richiesta unitaria dei sindacati università sul Ddl 4822
AFAM: tabelle di stabilizzazione assistenti amministrativi e coadiutori
Conservatorio Briccialdi di Terni: la FLC CGIL vince le elezioni suppletive
Blocco dell’anzianità dei docenti universitari: il tribunale di Trento rinvia alla Corte Costituzionale
L'Abilitazione Scientifica Nazionale ai tempi dell'ANVUR
"Nasce" il Forum della docenza universitaria della FLC CGIL Messina
Università di Tor Vergata: si è fatta chiarezza sulle elezioni del 17 e 18 aprile 2012
Ricerca
Proroga dei contratti a termine all'INGV (e negli EPR): confermata la validità degli accordi decentrati
Precari: riconoscimento anzianità di servizio, il tribunale di Lanusei si esprime favorevolmente
Spending review: ricerca, incontro con il Ministro sulla riduzione delle piante organiche
ENEA: accordo sui benefici assistenziali, ma la trasparenza resta un tabù
Tagli alla ricerca pubblica: il CNR impone overheads alla Rete
CNR: la FLC CGIL Palermo rinnova la richiesta di visione del DURC
ISTAT. Produttività, l'amministrazione paga il semestrale di ottobre
ISTAT. Produttività, il bottino si fa pesante
INGV: dal 1 gennaio 2013 possibili criticità del Sistema di Sorveglianza Sismica e Vulcanica
INRIM: il personale non approva le scelte scientifiche del Presidente
ISPRA: chiesta la proroga di tutti i contratti precari in scadenza per il 2013
INAF: contrattazione, ad un punto di svolta molte delle questioni aperte
Ultime da ricostruiamolitalia.it
Adesso e Domani. Percorsi, emozioni e diritti di un generazione
Non più di 100 parole
Olimpiadi nazionali sulla Grammatica italiana

sabato 17 novembre 2012

Una nota sul qualunquismo

“per chi la crisi non è mai iniziata perché non è mai finita”


IL QUALUNQUISMO, falsa sintesi del senso comune, è l’avversario più insidioso non solo per la coscienza di classe, ma per l’emancipazione della coscienza di massa. La rivolta qualunquista, come oggi il fenomeno “Grillo”, che si abbevera alla cosiddetta ‘anti-politica’, è, al di là delle forme e modi diversi con cui si presenta, ricorrente nelle fasi di crisi economica e culturale, si alimenta del frantumato tessuto sociale e si presenta come antitetico al sistema. Ma antitetico non lo è: è solo oppositivo, cerca il consenso passivo di protesta , rinuncia ad una progettazione sociale di riferimento, a un disegno di classe. Per i comunisti, è un’insidia tanto più forte quanto più è la rinuncia ad una formazione politica di massa alternativa al sistema. Il marxismo offre invece strumenti scientifici sia per l’interpretazione della realtà, sia per la sua trasformazione rivoluzionaria. Agli albori del metodo scientifico moderno, il filosofo Francesco Bacone (1561-1626), accanto ad una pars destruens per abbattere gli idola tribus (gli errori della tribù, quelli radicati nella specie umana, che è fatta in modo tale che inevitabilmente commette errori), indica una procedura costruens, attraverso la cosiddetta dottrina delle tavole (un fenomeno si osserva e si studia attraverso la ricorrenza delle sue variabili). Il marxismo è progressivo anche rispetto a questo stesso metodo.

Espropriati del linguaggio aderente alla realtà, tutti sentono parlare di “riforme” e “stabilizzazione”, volendo intendere il significato contrario: misure reazionarie e instablità strutturale, quelle proprie del sistema capitalista avviluppato nelle sue contraddizioni. E’ una situazione storica già studiata da Gramsci con la categoria di ‘senso comune’, amplificata oggi dall’uso dei media sia tradizionali, la stampa e la tv, che cercano di esorcizzarla, sia innovativi, che creano l’illusione di un’autosufficienza identitaria, meglio sarebbe dire ‘di comunità autonoma’. Contrastare il qualunquismo dovrebbe voler dire, per la sinistra del nostro paese, contrastare quella deteriore aderenza al peggior senso comune che non ha sbocchi di alcun tipo. Il qualunquismo comunque si ammanti (solitamente è né-né) è oggettivamente di destra per questo: l’opposizione, contro tutto e tutti, si fa solo all’interno del sistema. La sinistra che progetta un’alternativa di sistema è di fronte ad un bivio: o consegnarsi alla residualità testimoniale e insussistente, stritolata dal senso comune di massa che non riesce a progettare la trasformazione sociale; o porsi coscientemente come una parte della contraddizione del sistema stesso, per emancipare la coscienza di massa e lavorare per cambiare i rapporti di forza, che non si modificano solo per condizioni e scelte soggettive, ma per le materiali condizioni di vita che definiscono oggi il profilo di massa delle contraddizioni sociali. (fe.d.)

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lunedì 12 novembre 2012

Indicazioni del PdCI per le primarie del centrosinistra



La Direzione Nazionale del Pdci ribadisce oggi la volontà di provare a concludere un accordo con il centro-sinistra per scongiurare lo scenario di un Monti-bis e l'imposizione delle sue politiche antipopolari.

- impegna il Partito a partecipare al percorso delle primarie della coalizione "Italia bene comune", dando indicazione di voto per Nichi Vendola, il candidato più marcatamente di sinistra, più conseguentemente critico con le politiche di Monti e nostro alleato nei referendum sul lavoro.

Qualora vi fosse un secondo turno delle primarie (e qualora Vendola non vi giungesse) il Partito si impegna, sin d'ora, a sostenere la candidatura di Pierluigi Bersani.


comunicato del 10 novembre 2012

mercoledì 7 novembre 2012

La storia si è rimessa a camminare



Alexander Höbel, Coordinatore Comitato scientifico Ass. Marx XXI, ha scritto:


"[..] Il primo effetto rilevantissimo della Rivoluzione è stato quello di mostrare a tutti che il potere delle classi dominanti non è imbattibile, non è eterno e immutabile, ma può essere rovesciato; che nuove classi possono assumere la direzione della società e dello Stato. Né questo è solo un dato ideologico, ma al contrario è un elemento molto concreto dell’esperienza sovietica, laddove il potere, la “cosa pubblica”, erano gestiti da intellettuali rivoluzionari, ma anche e in misura sempre crescente da operai e contadini, e da figli di operai e contadini, che diventavano funzionari, dirigenti di partito, amministratori, dirigenti di fabbrica, quadri dell’esercito; un’ondata straordinaria di mobilità sociale che ha coinvolto milioni di persone. Certo, con tutta la difficoltà di un “processo di apprendimento”, per dirla con Losurdo, di dimensioni storiche; con tutti i deficit di egemonia immaginabili rispetto a quella che nel resto del mondo era rimasta classe dominante con qualche secolo di esperienza in più. E tuttavia mostrando nei fatti che anche “la cuoca può dirigere lo Stato”.[..]La rottura del 1917 e l’esistenza dell’Urss, inoltre, hanno favorito l’affermarsi di nuovi diritti, i diritti sociali; hanno dato una spinta formidabile alle lotte dei lavoratori in tutto il mondo; hanno indotto il capitalismo a riformarsi costruendo importanti sistemi di Welfare. Non è un caso se dopo il 1991 i passi indietro su tutti questi fronti sono stati gravi e molteplici.[..]la parte a mio parere più autentica del pensiero di Lenin sta proprio nella precisa indicazione di superare questi limiti, abbattere questi ostacoli, attraverso l’opera di educazione politica che egli affida al Partito già nel Che fare?, e attraverso quel “lungo lavoro di educazione”, quell’intenso “lavoro culturale” di cui parla nei suoi ultimi scritti.[..]la storia si è rimessa a camminare, anzi a correre. L’eredità dell’Ottobre, che ci fa pensare al passato con orgoglio, ci aiuta quindi anche a guardare al futuro con un po’ di ottimismo.

lunedì 5 novembre 2012

La sinistra italiana a un bivio. I due partiti comunisti scelgono opzioni diverse.

dal Partito Comunista del Canton Ticino
Subito dopo la disfatta elettorale del 2008 i due principali partiti comunisti italiani, il Partito della Rifondazione Comunista (PRC, con circa 30mila iscritti) e il Partito dei Comunisti Italiani (PdCI, con circa 20mila iscritti), avevano dato avvio a un processo unitario: il rifiuto del primo partito di procedere a una fusione per costituire un nuovo e unificato partito marxista, come proposto dal PdCI, aveva reso possibile solo federare le due sigle, le quali mantenevano però la loro indipendenza e identità. Nasceva così la Federazione della Sinistra (FdS).
TRE SOGGETTI IN UNO
Il PdCI di Oliviero Diliberto ha continuato a seguire una via più identitaria, compatibile con la tradizione del comunismo italiano di Palmiro Togliatti ed Enrico Berlinguer, mente il PRC di Paolo Ferrero ha mantenuto una struttura più eclettica, portando ai vertici gli ex-militanti di “Democrazia Proletaria”, un partito della sinistra estrema scioltosi a inizio degli anni ’90, e accettando al suo interno correnti di ispirazione trozkista e in generale massimalista. La corrente ideologicamente più “ortodossa” e leninista del PRC, riunita intorno alla ex-rivista “L’Ernesto” guidata dall’ex-senatore Fosco Gianini e da Fausto Sorini, è confluita nel PdCI l’anno scorso. Ai due partiti comunisti si sono poi uniti all’interno della FdS anche due associazioni di ispirazione laburista, “Socialismo2000″ e “Lavoro-Solidarietà”, che sono in procinto di fondersi in un nuovo “Partito del Lavoro” guidato da Cesare Salvi e Gian Paolo Patta, una piccola organizzazione socialdemocratica di sinistra con una vocazione prioritariamente sindacale.
DUE STRATEGIE COMPLETAMENTE DIVERSE
Ieri, 3 novembre 2012, si è tenuto uno dei più difficili incontri di vertice della Federazione della Sinistra: la sua stessa esperienza unitaria potrebbe essere al capolinea. Tra PRC e PdCI, infatti si è di fatto consumato un nuovo divorzio. La strategia è infatti diversa e un compromesso non è in nessun modo fattibile: da un lato Paolo Ferrero, il valdese proveniente da “Democrazia Proletaria” eletto segretario di Rifondazione vuole costruire un polo della sinistra anticapitalista contro tutto e tutti, dall’altro Oliviero Diliberto, il pragmatico leader dei Comunisti Italiani, professore di diritto romano e grande amico della Cina, vuole costruire una grande alleanza con tutte le forze del centro-sinistra. A sua volta ha deciso di lavorare per un accordo con il centro-sinistra anche il gruppo promotore del Partito del Lavoro. Il suo leader Gian Paolo Patta ha giustificato tale linea politica in questi termini: “L’implosione del sistema dei partiti della seconda Repubblica può essere accompagnato da una crisi della idea stessa di politica e quindi della democrazia. Occorre costruire un argine con la più ampia coalizione di centro-sinistra”. La Federazione della Sinistra ha così preso atto che non esiste unità d’intenti fra le sue componenti. Fuori dal politichese questo significa che essa è ormai defunta e pare quindi definitivamente affossata l’ipotesi di una riunificazione dei due partiti comunisti, come in molti politologi, al di là dell’idealismo degli elettori, davano per assodato, viste le storie, i metodi e gli obiettivi diversi fra PdCI e PRC. Se la FdS è morta politicamente, essa formalmente continua ad esistere come cappello elettorale per le elezioni regionali (dove Rifondazione è in quel caso spesso disposta ad allearsi con il tanto odiato PD) e per continuare a raccogliere le firme per il referendum contro lo smantellamento dei diritti sindacali.
IL PROBLEMA DEL VOTO UTILE
Se da un lato appare difficile trovare compromessi con un Partito Democratico (PD) sempre meno di sinistra, non si può dare facilmente torto al PdCI e ai laburisti: tutti i risultati elettorali degli ultimi anni dicono, infatti, che il popolo della sinistra italiana penalizza sempre le divisioni: nel 2008 il progetto di “Sinistra Arcobaleno” in alternativa al PD ha rappresentato il “de profundis” della sinistra di classe in parlamento con la mancata rielezione di tutti i deputati e i senatori comunisti e socialisti di sinistra. Ancora di recente lo si è visto nelle elezioni amministrative in Sicilia: “Divisi sia la sinistra radicale che il PD vengono puniti dall’elettorato” ha affermato Gian Paolo Patta.
PURISMO O PRAGMATISMO?
Insomma, due visioni completamente diverse: da un lato chi ritiene che la Federazione della Sinistra debba essere del tutto alternativa al centro-sinistra, costruendo un progetto anti-capitalista, correndo però il rischio di risultare ancor più marginali e non riuscire a eleggere nessun deputato; e dall’altro chi ritiene che la fase storica imponga soluzioni forse più moderate, ma in cui i comunisti possano esercitare una pressione per spostare a sinistra gli equilibri politici. Paolo Ferrero e il suo PRC quasi compatto propendono per la prima ipotesi, anche se al suo interno Claudio Grassi, membro della segreteria di Ferrero, avverte chiaramente: “chi sottovaluta altri 5 anni fuori dal Parlamento è politicamente irresponsabile”! A dimostrazione che l’incertezza di questa via si fa strada anche in una parte di Rifondazione.
COL PD CI SI PUÒ ALLEARE?
Il PdCI contesta la scelta dei compagni di Rifondazione: l’isolamento della FdS non porterebbe politicamente, infatti, a nulla e rifiuterebbe di riconoscere che all’interno del PD, un partito comunque di massa e a base popolare, esistono ancora tendenze sensibili al movimento operaio che andrebbero agganciate per costruire delle maggioranze e risultare quindi “utili” alla classe lavoratrice. Il riferimento qui è alla seconda versione della carta di intenti del segretario democratico Pier Luigi Bersani che vuole mettersi alle spalle l’esperienza del governo tecnico di Mario Monti (un banchiere neo-liberista, non eletto dal popolo e responsabile delle macelleria sociale in Italia) e pare abbia intenzione di riposizionare il PD su un percorso più tradizionalmente laburista e socialdemocratico.
I COMUNISTI NON SI DEVONO ISOLARE
Il segretario dei Comunisti Italiani Oliviero Diliberto non ha mancato di bacchettare il suo omologo Paolo Ferrero: “non è con lo splendido isolamento che i comunisti e le sinistre risorgeranno in Italia”. E ha continuato: “Intendiamo provare a riportare i comunisti in Parlamento, per provare a ricostruire percorsi unitari a sinistra, per cercare di impedire alle destre di vincere, per tentare di archiviare il berlusconismo e il montismo”. Il politico sardo ha concluso: “la sfida in campo è tra la tecnocrazia che abbiamo conosciuto in quest’anno e che ha demolito tante conquiste del mondo del lavoro del secolo scorso e un nuovo centro-sinistra, che possa riaprire una stagione progressista. Da una parte c’è la fine della democrazia rappresentativa e del welfare, dall’altra la possibilità, tutta da verificare, di un cambio di rotta per il Paese e per il continente. I poteri forti hanno scelto da che parte stare. Noi intendiamo fare altrettanto. Con umiltà, con il senso dei nostri limiti, e con spirito unitario. Non sappiamo se ci riusciremo. Non sappiamo se le altre forze del centro-sinistra vorranno provarci. Non sappiamo ancora quali saranno le regole (leggi elettorali). Ma sappiamo una cosa: abbiamo il dovere di provarci, di non isolarci, di stare in campo costruendo alleanze per vincere, non solo per partecipare. In fondo, è il dovere di essere comunisti”.
STARE NELLE CONTRADDIZIONI…
L’obbiettivo, in questa fase storica e nell’anomalia politica dell’Italia, per i comunisti è quindi, secondo il PdCI, quello di spostare i rapporti di forza il più possibile a favore di un lavoro sempre più attaccato da manovre recessive, dalla crescita dei grandi monopoli capitalisti e dal ritorno al più becero sfruttamento, risolvendo i problemi immediati della classe operaia e nel contempo rappresentando per essa il futuro di una società libera dallo sfruttamento. Per fare questo c’è bisogno, per sconfiggere il populismo di Beppe Grillo e le trame neo-liberiste della Banca Centrale Europea (BCE) e dei grandi gruppi capitalisti, di un ampio spiegamento di forze di sinistra che possa concretamente appoggiare con forza e guidare le giuste rivendicazioni della FIOM, il combattivo sindacato metalmeccanico. Per questo l’arroccamento su posizioni massimaliste non farebbe altro che condannare i comunisti all’isolamento nei confronti delle grandi fasce popolari. E oggi, nel 55° anniversario della morte del grande dirigente comunista italiano Giuseppe Di Vittorio, che in gioventù fu anarco-sindacalista, si potrebbe dire con lui che: “la purezza dei principi non vale al mondo quanto vale la forza”, Rifondazione Comunista ha preferito la purezza dei principi, i Comunisti Italiani hanno scelto la forza. Staremo a vedere come il tutto si evolverà, quello che è sicuro è che qui si gioca il futuro stesso dei comunisti in Italia.

giovedì 1 novembre 2012

Ortodossi ed eterodossi

Essere ancorati ai princìpi, ai valori, alla storia non è, non deve essere in contrasto con l'aderenza alle trasformazioni e ai cambiamenti sociali, allo spirito critico, all'apertura alle idee autenticamente frutto di tempi storici. Se l'avvenire è il comunismo, dichiarasi comunisti è ancorarsi al presente per proiettare il futuro.
ferdinando dubla
Lavoro Politico ora è anche su http://www.facebook.com/pages/Lavoro-Politico-Marx-21-Taranto/242960732497109

sabato 20 ottobre 2012

24 ore docenti: l'aumento dell'orario di lavoro a parità di salario deve essere cancellato

Comunicato stampa di Domenico Pantaleo, Segretario generale della Federazione Lavoratori della Conoscenza CGIL.
Dopo lo sciopero e le manifestazioni del 12 ottobre la mobilitazione della FLC CGIL continuerà fino a che il Governo non rivedrà le odiose misure contro la scuola pubblica. L'aumento dell'orario di lavoro per i docenti a parità di salario deve essere cancellato, bisogna garantire il rinnovo dei contratti nazionali e il pagamento degli scatti d'anzianità, investire risorse nella scuola e non tagliare ulteriormente la spesa. Rivendichiamo un piano di stabilizzazione per i precari e ribadiamo che il concorso è inutile e costoso. Come si concilia la forte riduzione di oltre 30 mila posti per effetto dell'aumento dell'orario con il concorso? Il Governo Monti e il Ministro Profumo stanno disintegrando la scuola pubblica perchè vogliono che l'istruzione non sia più garantita a tutti. Stanno sconvolgendo le relazioni sociali e umiliando i lavoratori pubblici perchè vogliono trasformare il lavoro in merce. Sarebbe utile che tutte le organizzazioni sindacali promuovessero una grande manifestazione nazionale unitaria. Nei prossimi giorni saremo nelle piazze con gli studenti per difendere la scuola pubblica, occuperemo uffici scolastici provinciali e regionali e siamo pronti a portare il conflitto in tutti i posti di lavoro.

venerdì 12 ottobre 2012

Profumo di tagli: oggi la CGIL (Flc) sciopera e chiama alla mobilitazione


Sacrosanto lo sciopero di oggi indetto dalla Flc_CGIL, tanto più alla luce dei 'si dice' che potrebbero essere contenuti nella legge cosidetta di 'stabilità' di questo governo dei poteri forti, che sta togliendo il respiro alla nazione, peggiorando tutti gli ambiti a cui mette mano. Come la scuola: dopo le devastazioni di Gelmini-Berlusconi, ecco la trimurti Monti-Fornero-Profumo, che, se potessero, i precari li eliminerebbero fisicamente e invece si accontentano di ammazzarli moralmente privandoli del lavoro. (fe.d.)

CGIL-FLC:

I docenti, il personale ATA, i dirigenti sono tutti chiamati ad astenersi dal lavoro per una giornata. Perché? Sono tante le cose che non vanno. Cose vecchie ormai incancrenite e cose nuove che peggiorano una situazione già precaria e difficile.

Le modalità di adesione allo sciopero nella scuola

I tagli ai finanziamenti. Pensavamo di avere già dato, ma con la spending review vanno via altri 200 milioni di euro. Le politiche del lavoro e del personale. Con il passaggio ai ruoli ATA dei docenti inidonei per motivi di salute si producono quattro danni: agli stessi docenti messi a fare un lavoro che non conoscono, alle segreterie che si ritrovano private di personale competente, ai precari ATA che non avranno rinnovato il contratto per la riduzione di ulteriori 3.900 posti, alla scuola che sarà peggio organizzata.
Le retribuzioni. Il contratto è bloccato, gli scatti di anzianità sono bloccati, le retribuzioni sono tra le più basse d'Europa. In più si chiede ai docenti di lavorare più ore senza compenso. E si scarica sul Fondo di istituto il pagamento di ore eccedenti e sostituzioni di dirigenti scolastici e DSGA che invece dovrebbero essere a carico del MIUR.

Per non parlare dell'edilizia scolastica, dell'assenza di investimenti per le nuove tecnologie e per i laboratori, pure necessari e urgenti per mettere la didattica e il lavoro nelle scuole al passo coi tempi.

E il concorso? In questo momento è inutile e costoso.
La nuova legge sulle pensioni va cambiata perché blocca il rinnovamento di personale nella scuola e non tiene conto delle sue specificità. Le immissioni in ruolo non coprono tutti i posti vacanti, quindi il precariato non diminuisce.


I problemi sono tanti e sempre di più. Eppure per cominciare basterebbero poche cose, alcune a costo zero. La FLC CGIL le ha proposte da tempo. Servirebbero per migliorare e rendere più efficienti le scuole e sbloccare le immissioni in ruolo di docenti e ATA e cancellare il precariato. Per cominciare basterebbe un po' di volontà politica e un briciolo di buon senso.

Con questo sciopero vogliamo scuotere la sensibilità dell'opinione pubblica e del governo. E ci auguriamo che ascoltino le nostre proposte.

lunedì 8 ottobre 2012

Eric Hobsbawm parla con Antonio Gramsci


Eric Hobsbawm 
(Alessandria d'Egitto, 9 giugno1917- Londra, 1 ottobre 2012)
storico marxista

venerdì 5 ottobre 2012

Intervista a Oliviero Diliberto di Luca Sappino di "Pubblico"


Intervista a Oliviero Diliberto
04 Ottobre 2012 16:19

a cura di Luca Sappino, "Pubblico" del 4 ottobre 2012


Il leader del Pdci vuole l`accordo con i democratici. Se l`intesa non ci sarà, Landini candidato
della sinistra. Con Paolo Ferrero, riguardo al rapporto con il Pd e Bersani, ancora non si sono
messi d'accordo, ma Diliberto è partito per la sua strada: «Chi dice che, siccome il Pd ha votato
le riforme del governo Monti, noi non dobbiamo più parlarci, sta rinunciando a far politica». E
Diliberto non intende rinunciare né a far politica, né a recuperare il rapporto con il Pd. «Noi del
Pdci l`abbiamo già deciso al nostro congresso dell'anno scorso: parteciperemo alle primarie»,
annuncia categorico durante in forum con la redazione di Pubblico giornale. Per sostenere chi?
«Vendola, se non sarà il candidato solo di Sel, ma di tutta la sinistra», oppure Bersani, magari
al secondo turno, «perché l'importante è che non vinca Renzi». Se poi la coalizione di
centrosinistra non si dovesse fare, per Diliberto, ha ragione Di Pietro: «Se non ci fossero le
condizioni per l`alleanza, faremo qualcosa a sinistra». E c`è già l`idea per la leadership:
«Landini? Ditemi dove devo firmare» risponde entusiasta.
     
Insomma, la Federazione della sinistra ancora non ha deciso cosa fare.
Presto risolveremo tutto Abbiamo convocato il consiglio nazionale della Federazione il 20
ottobre.
Riuscirete a mediare tra la sua posizione e quella di Ferrero?
Credo di sì. E credo che la mia posizione possa essere quella di sintesi, se letta con calma.
Perché io non propongo di fare l`accordo con il Pd e basta, io dico di provare a fare l`accordo
con il Pd. Se ci sono le condizioni, altrimenti no. Il no e il sì a prescindere sono entrambe
posizioni sbagliate.

Per lei è giusto provarci, nonostante il Pd stia approvandole riforme del governo Monti
che voi volete smontare, anche attraverso i referendum?
Io dico che non possiamo decidere senza sapere cosa ci sarà, alla fine, nella carta d`intenti di
Bersani, Vendola e Nencini: i tre che ci stanno lavorando. Poi, ovviamente, se ci saranno cose
inaccettabili, non ci saranno margini per l`accordo. Noi però, potremo dire di averci provato.
Questo chiede la base della Federazione?
I nostri militanti e i nostri elettori, in questo momento, sono divisi tra una pulsione unitaria e una
radicalità dei contenuti mai vista. Il punto è che un dirigente non deve farsi dirigere né da una
pulsione Dé dall`altra, ma fare sintesi.
Parla di Ferrero?
No, Ferrero non si fa dirigere. Credo, purtroppo, che lui sia proprio convinto che l`accordo con il
Pd non si possa trovare. Ma io confido che, da qui al 20 ottobre, possa cambiare idea.
Se l`intesa con Bersani si trova, state nella coalizione?
Certo. Se ci sono le primarie e Federazione partecipa, quella è la coalizione. Naturalmente
questo se la Federazione decide di partecipare in quanto tale.
Potreste rompere e partecipare solo voi del Pdci?
Diciamo che è possibile. Così come hanno già detto, per conto loro, anche Gian Paolo Patta e
Cesari Salvi. Fino all`ultimo però io lavorerò per preservare l`unica esperienza unitaria che la
sinistra ha conosciuto negli ultimi anni.
Quindi voi partecipate alla primarie. Con quale indicazione di voto?
Adesso vedremo. Non sono reticente, non è diplomazia: semplicemente non lo so.
Cosa le manca per decidere?
Molte cose. Le regole, ovviamente, ma anche la natura della candidatura di Vendola.
Cosa c`è che non va?
Non ho capito se Nichi si candida a rappresentare tutta la sinistra o se si candida solo come
espressione di Sinistra Ecologia Libertà.
Insomma vi deve invitare?
Non è una questione di inviti. Si tratta di capire se la sua è una candidatura che aggrega tutta la
sinistra e quindi sostiene la linea della Fiom, cioè quella di un`unità a sinistra che non rinunci al
confronto con il Pd.
In quel caso invitereste a votare per Vendola?
Potrebbe anche essere il candidato della Federazione. Questo, naturalmente, se prevarrà la
mia linea. E se, come spero, siccome non è ininfluente, rispetto al nostro obiettivo politico, se
vince Renzi o vince un altro, Rifondazione non si sottrae.
Che Rifondazione Comunista voti Vendola, dopo il duro congresso della scissione,
sembra difficile.
So bene quanti strascichi lascia un divorzio, nella vita privata come in quella pubblica, ma se
uno fa politica deve superare l`astio personale e il rancore. Se Vendola si candida a
rappresentare la sinistra è un fatto politico di prima grandezza e sarebbe l'occasione giusta per
rappresentare la nostra idea di sinistra larga.
Quanto larga immaginate la sinistra?
Noi pensiamo ad una sinistra che tenga dentro Sel e la Federazione, ma anche l`Italia dei Valori
e la Fiom, come - mi pare - abbia auspicato anche lo stesso Di Pietro.
Su Vendola non è comunque convinto.
Avverto un pericolo nella candidatura di Vendola, perché mi pare che questa possa portare via
voti preziosi a Bersani, favorendo Renzi.
Sarebbe una sciagura?
Secondo me lì c`è in ballo ciò che determinerà Io svolgimento dei prossimi trenta anni: il bivio
tra la linea di continuità con Monti - il fantomatico tecnico che in un anno ha fatto più danni di
Berlusconi in venti - rappresentata da Renzi, e la linea socialdemocratica, su cui mi sembra sia
tornato Bersani.
Potreste quindi sostenere Bersani alle primarie?
Lo scopriremo solo vivendo. Intanto dobbiamo capire se, scoperte le regole, resta in campo la
candidatura di Vendola.
Che però pare molto determinato.
Dobbiamo comunque capire, ad esempio, se saranno primarie a doppio turno o meno.
Cambierebbe tutto. L`importante è che non vinca Renzi, insomma. Il voto a Renzi è spesso un
voto a prescindere dai programmi, è un voto ad un format, ma ha una forza intrinseca che lo
rende molto affascinante e potenzialmente di successo, perché su un punto ha ragione: c`è
bisogno di un ricambio generazionale profondo. Non solo dalle parti del Pd, però. In tutta
lapolitica. Dovrebbe spettare ai vecchi fare il primo passo, senza aspettare di essere rottamati.
Anch`io sento questa esigenza.

E se il Pd non dovesse volervi. usando le leve della "sinistra dei no" e della "sinistra
litigiosa del governo Prodi"?
È bene intanto ricordare che il governo Prodi è caduto per via di Mastella e di Dini, silurato da
destra e non da sinistra.
Però pure voi l`avete fatto faticare parecchio.
Non c`è dubbio che, in quei due anni, anche noi abbiamo avuto alcune responsabilità. Da un
lato non si poteva fare cadere il governo perché altrimenti tornava Berlusconi, dall'altro
chiedevamo delle cose - tutte giuste che con una maggioranza di due voti al Senato non si
potevano ottenere.
E quindi?
Quindi perseverare è diabolico: noi abbiamo tratto alcuni insegnamenti da quella vicenda. Tra
questi la consapevolezza che il partito di lotta e di governo non esiste. Nemmeno il Pci riuscì ad
esserlo. Se ci sarà un accordo di governo, dunque, dovremo governare, altrimenti dovremo
lottare.
Se il Pd non dovesse proprio volervi?
Io lavorerò per fare un centrosinistra capace di vincere e evitare che dopo Monti ci sia ancora
Monti, ma se non si riuscirò, allora faremo una cosa a sinistra, quella di cui ha parlato Di Pietro.
Con una lista arancione?
L`arancione, in verità, non mi è mai piaciuto.
Un Partito laburista?
Non lo chiamerei partito. Quando parliamo di unità a sinistra preferisco sempre parlare di una
federazione, così nessuno perde la sua identità. Io voglio morire da comunista ma vorrei
contribuire ad un processo di aggregazione. Mi auguro che anche il Pd possa partecipare ad un
processo di scomposizione e ricomposizione di questo tipo, ma questo dipende dalle dinamiche
interne. Ho visto Fioroni che ha fatto fuoco e fiamme, dicendo che se ne andrà.
Insomma, con i sindaci e con la Fiom?
Non sarebbe la prima volta che il sindacato corre in soccorso della politica: è già successo nel
2002, quando Cofferati e la sua Cgil hanno, per un periodo purtroppo breve, incarnato per una
sinistra non solo di palazzo, la speranza.
Dopo Cofferati potrebbe essere Maurizio Landini il candidato della speranza?
Assolutamente. Ditemi dove devo firmare

domenica 30 settembre 2012

Ilva, i cittadini si appellano alla Corte internazionale di Giustizia



La torre di caricamento dell'altoforno 5 e ol camino E312 all’Ilva di Taranto ancora ospitano i lavoratori che protestano contro la ventilata chiusura del siderurgico. Gli scioperi di giovedi' e venerdi' di Fim e Uilm a sostegno dei Riva e del presidente Bruno Ferrante, impegnati ad ottenere a tutti i costi l’Aia, hanno allargato decisamente lo strappo tra Fim Cisl e Uilm Uil da un lato e Fiom Cgil dall'altro. La Fiom, che gia' non aveva condiviso le precedenti proteste delle altre due sigle sindacali, si e' nettamente dissociata anche dai blocchi stradali e dalle astensioni dal lavoro di questa settimana perche' ha ritenuto queste mobilitazioni schierate piu' contro la Magistratura, che ha disposto il sequestro dell'area a caldo dell'Ilva, che contro l'azienda che non propone ancora gli investimenti necessari per risanare il siderurgico. Insomma, il terreno sembra tutto a favore del Governo che tra un paio di settimana dovrebbe concedere l’autorizzazione. Autorizzazione su cui, va detto, pende l’incognita dei dati epidemiologici. Ilva ed esecutivo hanno già da tempo contestato i numeri circolati in questi giorni. Alcuni di questi, addirittura, provengono dall’Istituto superiore di Sanità.La Fiom Cgil, tuttavia, sta facendo di tutto per tentare di tenere unito il fronte dei lavoratori. Gia' dalla prossima settimana potrebbe fare le assemblee con i lavoratori Ilva, "anche da soli - ripete Donato Stefanelli, segretario Fiom di Taranto -. Sono oltre 20 giorni che abbiamo proposto alle altre due organizzazioni di confrontarci in assemblea con i lavoratori perche' e' con loro che dobbiamo costruire la nostra proposta. Una proposta che chieda all'Ilva di investire perche' questo e' il punto fondamentale. Non servono spaccature e forzature in una fase cosi' difficile".Intanto, con circa 4.000 le firme, le Donne per Taranto chiedono che nel procedimento di nuova Autorizzazione Integrata Ambientale per lo stabilimento siderurgico Ilva di Taranto vengano inseriti i dati dello studio epidemiologico 'Sentieri'. Le 4000 firme saranno inviate al Presidente della Repubblica e al ministro dell'Ambiente e al ministro della Salute entro mercoledi'. Anche il Comitato 'Taranto Futura', è sempre più deciso a non mollare la presa. Cosi' come annunciato nel luglio scorso, ha presentato una denuncia al procuratore del Tribunale penale internazionale dell'Aja per chiedere l'apertura di un'inchiesta nei confronti della classe dirigente tarantina, regionale e nazionale, in concorso con i vertici dell'Ilva, per la violazione degli articoli 5, 6 e 7 dello statuto della Corte penale internazionale per i reati di genocidio e crimini contro l'umanita' in relazione all'inquinamento prodotto dallo stabilimento siderurgico e ai mancati controlli da parte delle istituzioni.


Autore: fabio sebastiani

da www.controlacrisi.org

domenica 23 settembre 2012

Luciano Canfora: basta con l'Europa dei diktat e dei banchieri




Intervista a Luciano Canfora: «Basta con l'Europa dei diktat e dei banchieri»

di Paolo Valentini - Pubblico giornale


Ce lo chiede l'Europa. Quante volte abbiamo sentito questa frase rintronare le nostre orecchie? Quante volte i media ci hanno riportato alla cruda realtà immobile dei tempi moderni, al diktat incontrovertibile che da Bruxelles, scivolando astioso verso le Alpi e infrangendosi violento e impietoso su Roma e il suo palazzo, è entrato nelle case di tutti gli italiani. Ce lo chiede l'Europa e tutto smette di essere complesso. Tutto diventa unilaterale. Sul tema, purtroppo, la sinistra esprime posizioni subalterne.

Luciano Canfora ha un'idea precisa su questo. Ha da poco pubblicato un libro per Laterza (È l’Europa che ce lo chiede. Falso!) in cui analizza la condizione attuale, smascherando senza pietà le trappole e i luoghi comuni che buona parte della classe politica, anche quella di sinistra, continua a ripetere fino allo sfinimento.

Questo suo libro ha un titolo molto netto, che non lascia spazio a fraintendimenti. Lei sostiene che la costruzione dell'Europa è stata una forma di commissariamento progressivo? Parla di gangsterismo bancario?
Si potrebbe dire che la questione riguarda sia gli storici sia gli economisti. L'Europa non ha una storia unitaria, a parte l'impero romano. Storicamente, è un concetto astratto dei cui confini si discute ancora oggi. Essa dal Cinquecento in avanti è il continente che ha dato l'assalto al mondo creando gli imperi coloniali, come sostiene Toynbee, uno dei maggiori storici del novecento. L'Europa ha aggredito il mondo. Dopodiché la storia del novecento ha visto due volte l'Europa dividersi su fronti contrapposti che ci hanno portato alla catastrofe. Poi, di colpo, essa è diventata buona, ha professato la fratellanza universale e l'unione politica.

Una ricerca di redenzione?



Sì anche se tardiva, direi. Dal punto di vista economico, invece, è un agglomerato di Stati con la Germania al centro. Dopo poco più di sessanta anni la Germania può dirsi la vera vincitrice del secondo conflitto mondiale.

Come interagisce la sinistra in questo scenario?

Quando cominciarono i progetti di unificazione europea i confini erano piccolissimi, venivano dettati dalla guerra fredda. Questa è l'Europa di Carlomagno. Allora la sinistra rifiutò quel tipo di idea. La vera idea di Europa era quella di Mazzini. Ma questa non somiglia affatto a quella di Mazzini. Sono troppo piccoli i confini e le ambizioni. Si intuì subito che le economie più forti avrebbero avuto la meglio. Questa è un'Europa costruita per le ambizioni della germania, che impone agli altri delle condizioni proibitive.

Lei parla di europeicità come una forma di ideologia? La sinistra ha contribuito a questa costruzione?
Ciò che è sempre più manifesto a sinistra è il fatto che essa abbia perso ogni altro riferimento culturale. Ha svuotato la sua storia. Una volta si diceva Marx, Lenin, Stalin, Mao Tzetung. Oggi è rimasto solo Bobbio. E pure lui diceva che destra e sinistra sono diversi. Ma pure questo concetto è stato messo da parte in nome della coesione. L'europeismo è un'ideologia che non appartiene alla sinistra, che era internazionalista.

La critica che lei fa ci interroga su un’altra questione: che cos'è la democrazia oggi?
Lei parla di crisi drammatica dei sistemi rappresentativi. Come se ne esce? I poteri decisionali vengono delegati a delle istituzioni non elettive dislocate geograficamente lontane. Ai parlamenti nazionali rimane ben poco da decidere. Giocano a fare le leggi elettorali più lambiccate e più contorte possibili. C'è una forma surrettizia di parlamentarismo che però non produce quasi nulla.

L'Europa è usata per lo più per imporre scelte impopolari che nessun politico si prende la responsabilità di effettuare. Ma l'Europa, in passato, ci ha chiesto anche di adeguare i salari alla media europea, di avere leggi che riconoscano molti diritti civili ancora peregrini in Italia. Il salario minimo non esiste mentre in molti paesi si. Insomma usano solo quello che ci conviene?


Proponiamo a Marchionne di aumentare il salario come quello dei cittadini tedeschi. Io sottoscriverei e diventerei un europeista convinto. Il problema è che questa Europa per come è stata costruita è una gabbia d'acciaio. È disumano pensare che gli impiegati greci debbano essere licenziati per risanare un bilancio.


So che è un argomento doloroso per lei. Parlando di sinistra usa la parola “fusinistra ”. C'è un modo per costruire la sinistra del futuro senza essere nostalgici?
Se lo avessimo a portata di mano lo avremmo già sperimentato. Gli storici hanno sempre sbagliato nel prevedere lo sviluppo storico. Ci sono variabili imprevedibili che nel presente non vengono mai contemplate. Potrei fare tantissimi nomi di persone che ci hanno provato, ma sarebbe un cimitero. Il motore, il fuoco della sinistra, il globo incandescente presente nella persona umana è e continua a essere l'aspirazione all'uguaglianza. E la lotta prenderà forme che noi non immaginiamo nemmeno. Marchionne sta dando un contributo in questo senso. Sta esasperando a tal punto le condizioni degli operai che sta mettendo insieme un coagulo di persone unite dagli stessi obiettivi. Sta provocando una reazione collettiva forte.

Lei sostiene che il profitto non è l'approdo della storia umana. Quale è l'approdo secondo lei?
Lo disse una volta un pontefice di grande spessore come Wojtyla, in un dialogo intenso insieme a Fidel Castro. L'approdo è nella libertà; che non è affidato a misure empiriche ma a una storia di salvezza. La storia deve essere vissuta come un cammino di libertà.

Nonostante tutto, ha ancora dei sogni in mezzo alla catastrofe?

Uno fortissimo: nella società italiana, la scuola che ritorna al primo posto. Ora è una cenerentola bisfrattata da tutti. Il ritorno della scuola al centro della società è una mia grande speranza. La scuola è il luogo dove si apprende, è fondamentale.

C'è un personaggio o un'epoca dell'antichità che può riassumere le caratteristiche del tecnico o della tecnofinanza di oggi?
Sì. Ce n’è uno su tutti. Marco Licinio Crasso: l'uomo più ricco della Roma repubblicana. Quando gli schiavi, con Spartaco a capo della rivolta, si ribellarono furono dati poteri assoluti per soffocare la rivolta con ogni mezzo.







(20 settembre 2012) 

Pubblicato su Pubblico del 20 settembre 2012.


martedì 18 settembre 2012

Un coordinamento nazionale per un impegno unitario per la Scuola della Costituzione


Il 2 settembre, a Bologna, all’inizio del nuovo anno scolastico, l’assemblea rappresentativa 
di comitati, movimenti e associazioni della scuola, di associazioni e forze politiche aderenti 
ai Tavoli del Lazio e della Toscana per la difesa della Scuola statale,  promossa 
dall’associazione nazionale “Per la scuola della Repubblica”, lancia un appello ai cittadini 
democratici,  ai comitati di genitori e studenti,  alle forze politiche e alle organizzazioni 
sindacali,  per la difesa della Scuola della Costituzione messa in discussione, prima dal 
governo Berlusconi-Gelmini, ora dalle politiche dell’attuale governo e delle forze politiche 
che lo sostengono.
L’assemblea ribadisce un impegno a tutti i livelli sulla piattaforma unitaria dei 10 SI e 10 
NO (vedi  qui) approvata a Firenze il 14 aprile 2012  e sollecita  un’iniziativa di forte 
mobilitazione con assemblee unitarie,  finalizzate ad un’assemblea nazionale che avrà 
luogo domenica 23 settembre a Roma per una buona Scuola della Repubblica.
L’assemblea ritiene assolutamente prioritario impegnarsi immediatamente per affermare:
SI al rilancio della democrazia scolastica per un’effettiva libertà di insegnamento; NO alla 
proposta di legge 953 ex Aprea e al decreto sul Servizio Nazionale di Valutazione, che –
rafforzando i poteri manageriali del dirigente e quelli del ministero – contrasta con i 
principi di autonomia degli Organi di democrazia scolastica.SI all’immissione in ruolo del personale precario formalmente abilitato all’insegnamento 
che per anni ha sostenuto la scuola italiana;  NO  all’indizione di un concorso  –
caratterizzato peraltroda criticabili vecchie formule.
SI alla generalizzazione della scuola statale, in particolare dell’infanzia; NO al 
finanziamento pubblico delle scuole private e al sistema integrato pubblico/privato, 
particolarmente diffuso nelle scuole dell’infanzia.
SI all’incremento della spesa pubblica per la scuola statale; NO ai tagli illegittimamente 
effettuati da Gelmini e Tremonti e proseguiti con questo governo.
L’assemblea  manifesta il proprio sostegno all’iniziativa promossa dal Comitato per il 
referendum di Bologna “Articolo 33” contro i finanziamenti di quel comune alle scuole 
private e impegna tutte le realtà locali a promuovere sin da ora le iniziative più opportune, 
anche ricorrendo in sede legale, per il diritto di tutti alla scuola dell’infanzia pubblica.
L’assemblea manifesta solidarietà e sostegno all’iniziativa promossa dal Coordinamento 
Precari della Scuola il 4 settembre a Roma e alle manifestazioni successive  che verranno 
intraprese anche in altre sedi per contrastare un concorso che priva tanti docenti delle 
legittime aspettative.
L’assemblea,  ritenendo che solo l’unitarietà e la determinazione delle lotte per comuni 
obiettivi possa portare ai risultati auspicati,  decide di dar vita a un coordinamento 
nazionale delle realtà rappresentate nella seduta odierna e di coloro che via via aderiranno 
alla proposta qui presentata.
L’assemblea decide inoltre  di organizzare per la metà di ottobre un seminario di due 
giornate (presumibilmente a Firenze)  di approfondimento sul temi cruciali
dell’Autonomia scolastica, del Sistema di Valutazione Nazionale, dell’attuazione del Titolo 
V nei rapporti Stato/Regioni per quanto attiene l’istruzione.
Associazione per la  Scuola della Repubblica,  Comitato per la Scuola della Repubblica di 
Firenze, Ecole, Comitato bolognese Scuola e Costituzione, FdS, CPS Roma (Coordinamento 
Precari Scuola), I.d.V., “L’Urlo della Scuola”, PRC, Comitato Genitori e Insegnanti per la 
scuola pubblica  –Padova,  C.I.E.I. (Consiglio Insegnanti Evangelici Italiani), Comitato 
difesa scuola pubblica  –Ferrara,  SEL,  Alternativa  – Roma,  CRIDES (Centro di iniziativa 
per la difesa dei diritti nella scuola) - Roma, Cogede (Cordinamento Genitori Democratici 
di Genova), Coordinamento Scuole Secondarie – Roma

per ADESIONI: scuolarep@tin.it - cellulare 349.7865685

sabato 15 settembre 2012

PdCI Taranto: ostruzionismo della Lega Nord sui finanziamenti per taranto



Nell’aula della Camera prosegue al rallentatore, a causa dell’ostruzionismo della Lega Nord, l’esame delle disposizioni urgenti per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio della città di Taranto. Sul cosiddetto decreto Ilva, la maggioranza ha superato la prova dei primi due voti: i due emendamenti sono stati respinti dall’assemblea. Prima di ogni voto i deputati del Carroccio intervengono in massa. Ieri l’aula di Montecitorio ha approvato l’interruzione anticipata della discussione generale e il passaggio al voto. Tutti i gruppi hanno ritirato i rispettivi emendamenti, salvo la Lega, l’Italia dei valori e la componente radicale del gruppo Pd. Negli interventi dei deputati della Lega si sottolinea che i finanziamenti previsti per Taranto dal decreto favoriranno l’export cinese, innescando una concorrenza sleale verso i produttori italiani. Secondo il Carroccio, inoltre, gli sforzi previsti per Taranto dovrebbero essere estesi anche ad altre zone industriali - comprese quelle del Nord - che necessitano una bonifica, per esempio a Marghera o all'area Eternit di Casale Monferrato.

Lo squadrismo leghista infesta il Parlamento; approfittando dei regolamenti e della eco che i lavori della Camera hanno assunto proprio in concomitanza dell’ approvazione delle disposizioni per il risanamento ambientale e della riqualificazione del territorio di Taranto il gruppo leghista le tenta tutte pur di mettersi in evidenza contrastando i lavori e accampando scuse con riferimento ai propri interessi nordisti.

Come PdCI deprechiamo e denunciamo tali comportamenti; la Lega agisce così perchè non ha altri argomenti, perchè ha perso consenso e credibilità, dopo le note vicende che hanno coinvolto i vertici politici e le famiglie despoti, anche nelle piazzeforti dei tempi di vacche grasse e pur di ritagliarsi uno spazio nelle cronache agisce in maniera scellerata accanendosi verso il nostro territorio negando l’evidenza della necessità delle azioni del provvedimento. Mentre andava bene il fiume di denaro pubblico fatto elargire, oltre le salatissime multe comminate dalla commissione europea, quando erano nei governi di destra berlusconiani, per le cosiddette quote latte.

Il PdCI inoltre, pur apprezzando la disponibilità del Governo a finanziare il provvedimento e le forze della maggioranza per la volontà di approvarlo, ribadisce che tale stanziamento non si ritiene sufficiente ed esaustivo per la completa e totale operazione di risanamento e bonifica del nostro territorio.



                                                                  
                                                                                                        Partito dei Comunisti Italiani
                                                                                                                 Federazione Provinciale
                                                                                                                                   Taranto

mercoledì 12 settembre 2012

Diliberto sui referendum:rimettiamo il lavoro al centro della politica

“Oggi la sinistra politica e sociale si è ritrovata in Cassazione, per depositare i referendum per il ripristino dell'articolo 18 e per l'abolizione dell'articolo 8 della finanziaria di Berlusconi. Due battaglie di civiltà” lo dichiara Oliviero Diliberto, segretario del Pdci, che prosegue. “I diritti del lavoro stanno subendo un attacco senza precedenti, e la nostra risposta deve essere forte e chiara. Oggi partiamo con una grande battaglia unitaria, oggi partiamo con i referendum per rimettere al centro il lavoro”.

venerdì 7 settembre 2012

Il lavoro come riscatto e non come ricatto



Il caso dell’Ilva di Taranto dimostra come dentro il conflitto capitale/lavoro viva la contraddizione epocale tra ambiente e capitalismo 

L'editoriale di Ferdinando Dubla sul numero di settembre di Lavoro Politico

“(..) un puzzo che da solo basterebbe a rendere intollerabile a ogni uomo appena civile la vita in questo quartiere (..) L’anidride carbonica prodotta dalla respirazione e dalla combustione grazie al suo peso specifico permane nelle strade (..) questi gas, non trovando via libera devono necessariamente ammorbare l’atmosfera”
F.Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra, Editori Riuniti, 1978 

La prima scena del film di De Robilant, “Mar Piccolo” (2010) ambientato a Taranto, è quella di una carcassa di pecora che galleggia sul mare di quella che oggi viene chiamata “città dell’acciaio”, una volta “perla dello Jonio”. Una scena che, all’uscita del film, fece molto discutere, per una presunta immagine negativa che si dava delle condizioni ambientali di questo splendido pezzo di Puglia. Che si sono rivelate ben peggiori della simbologia adottata dal regista: nelle conclusioni dei periti della magistratura, che è intervenuta nel luglio scorso per fermare gli impianti del IV Centro siderurgico, il più grande in Europa, con 12.000 unità lavorative dirette e indirette, la seconda fabbrica d’Italia dopo la FIAT  e la prima nel Mezzogiorno come maestranze occupate, si parla di un disastro ambientale che si configurerebbe come un vero e proprio crimine contro l’umanità.  I tarantini, nella perizia, hanno trovato scritto che la media molto più alta di quella nazionale dell’incidenza tumorale alle vie respiratorie che colpisce soprattutto i bambini e in particolare al quartiere Tamburi, a ridosso dello stabilimento; che la maggiore incidenza anche delle patologie allergiche e cardiovascolari, non è dovuta al destino cinico e baro, a un fato ineluttabile, ma a una politica consapevole e dunque ad un comportamento omicida della proprietà che fa capo ad Emilio Riva ed alla sua famiglia.
Ed effettivamente Taranto, che non era acciaio, ma pesca e coltivazione dei mitili, ha visto distrutta, insieme alla salute, tonnellate e tonnellate di prodotto che era il vanto dei mitilicoltori. E interi allevamenti di ovini distrutti, perché producevano il latte alla diossina (da qui la scena del film di cui si è scritto). La situazione, insomma,  non sarebbe molto dissimile dalla descrizione dell’immaginaria Coketown del Dickens di Tempi difficili (1854), né molto dissimile dalla Manchester di Engels del 1843: un ‘capolavoro’ capitalistico, quindi, lungo più di un secolo e mezzo!
Nel cosiddetto mondo occidentale dove più forti e radicati sono i movimenti eco-pacifisti, che rappresentano istanze di rinnovamento e trasformazione  radicale della società e del modello economico liberista, si annovera una letteratura sterminata sull’ambientalismo e su filosofie che hanno come oggetto l’uomo e il suo rapporto con la natura e le risorse materiali, e non mancano contributi di una certa rilevanza, come quelli di Barry Commoner, Murray Bookckin, G. Bateson, l’economista Georgescu Roegen. Un limite esiste, però, e da parte marxista va rilevato: è sufficiente supporre una trasformazione di modelli culturali senza contestuale modificazione dei rapporti di produzione ed è adeguata una mera rivendicazione della propria coerenza di avanguardie che, ritagliandosi un pezzo “di cielo” incontaminato su questa terra, ricordano un po’ l’esperimento della “New Harmony” di Robert Owen? In realtà l’esigenza di una nuova normativa etica che deve presiedere alle forme politiche del progetto sociale è necessaria, ma pura petizione di principio. L’intervento umano sull’oggettività fisico-naturale è avvenuta in un determinato quadro di rapporti produttivi, a partire dalla rivoluzione industriale borghese del XIX secolo, in cui il rapporto uomo/ambiente sovrintendeva allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Se non si accetta che l’arcano delle merci subordina una particolare produzione sociale, l’intera critica ambientalista rischia di rimanere ancorata ad una indispensabile ma impropabile trasformazione della coscienza collettiva, senza intaccare i prodotti reali di quei miti scientisti (e neopositivistici) che pur si vogliono destrutturare.

-          La vicenda dell’Ilva di Taranto è effettivamente emblematica  di come il modello (non più di sviluppo) economico del capitalismo a egemonia finanziaria, possa ostacolare la soluzione della contraddizione ambiente-salute/lavoro e tentare di scaricare la stessa addosso ai lavoratori e ai cittadini. Sono inutili tutti gli altri esercizi di compatibilità: non saranno i protocolli d’intesa né politiche concertative a dare risposte adeguate, con buona pace di Vendola e, purtroppo, della maggior parte dei sindacati. Per evitare contrapposizioni come negli anni ’80 all’Acna di Cengio, sarebbe bene che l’unico soggetto realmente antagonista e nel contempo responsabile, la FIOM,  stabilisca qual è l’interesse collettivo primario nella vicenda che ha portato alla chiusura per via giudiziaria dell’area a caldo dell’Ilva di Taranto. Lo può e lo deve fare, perché è la più coerente organizzazione che in tutti questi anni ha denunciato uno sfruttamento indiscriminato della forza lavoro (soprattutto nell’appalto e nel subappalto), la sistematica violazione delle normative sulla composizione della busta paga, i metodi di reclutamento, l’orario e le condizioni di lavoro. L’interesse primario è la tutela della salute dei cittadini e dei lavoratori, senza che questo significhi la perdita anche di un solo posto di lavoro: è compatibile il raggiungimento di questo obiettivo con una pur radicale ristrutturazione in chiave di ambientalizzazione dell’impianto siderurgico più grande, ma anche più obsoleto, d’Europa? Con l’attuale modello economico, volto al massimo profitto e all’utile commerciale immediato, noi crediamo di no.
Il punto che a noi sembra decisivo, infatti, è l’apparente scissione che il dominio capitalista pone in essere: quella tra lavoro/sviluppo delle forze produttive ed equilibri eco-sistemici. L’apparenza consiste nel fatto che rimane immutato, sempre, il quadro delle relazioni industriali e dei rapporti di classe: se si rimane all’interno dei processi di accumulazione e dei cicli della riproduzione di capitale, ogni trasformazione del prodotto subordinerà la sostenibilità ambientale alla dinamica del profitto; la classe operaia non solo produrrà, ma accetterà l’inquinamento come prezzo, pur doloroso, da pagare, per mantenere i livelli occupazionali.[1]
Ma non si può chiedere ad una popolazione stremata di accettare la calamità di un 30% in più di neoplasie polmonari e di leucemie infantili perché la famiglia Riva continui a incrementare i propri lauti profitti e considerare l’attuale ‘asset’ siderurgico come strategico per le sorti di una politica industriale che ha svenduto ai privati (l’Ilva era l’Italsider pubblica delle partecipazioni statali prima dell’ubriacatura privatizzatrice e liberista del 1995) le realtà produttive fondamentali di medie-grandi proporzioni dell’intero paese.

Il 13 aprile 1972, Antonio Cederna sul Corriere della Sera denunciava l’inizio del declino di Taranto descrivendola come: “Una città disastrata, una Manhattan del sottosviluppo e dell’abuso edilizio, tale appare Taranto allo sbalordito visitatore. Stretta nella morsa della speculazione privata e di un processo di industrializzazione che si realizza al di fuori di qualsiasi piano di interesse generale, essa può ben essere presa a simbolo degli errori della politica sin qui seguita per il Mezzogiorno. Il quarto centro siderurgico Italsider (a cui si aggiungono il cementificio e la raffineria Shell) calò dall’alto intorno al 1960 ed occupa un’area di circa mille ettari, superiore a quella di tutta quanta la città. A parte ogni considerazione sui criteri adottati (concentrazione della sola industria di base, principio dei ‘poli di sviluppo’ che oggi si è rivelato un elemento di accentuazione degli squilibri piuttosto che del loro superamento), ciò che va contestato alla radice è il modo con cui l’Italsider, grazie a quel docile strumento che è il consorzio per l’area industriale, tende ad imporre il proprio interesse aziendale, considerando la città e i suoi duecentomila abitanti come un semplice serbatoio di mano d’opera, trascurando ogni altra esigenza dello sviluppo civile e del progresso sociale.”

Per rendere l’Ilva di Taranto un’azienda ‘eco-compatibile’ è necessario un investimento talmente cospicuo che rafforza i dubbi che la proprietà sia disposta ad un esborso talmente rilevante da abbassare il saggio del profitto in un impianto vecchio quasi cinquant’anni. Dalla perizia del gip Patrizia Todisco, che nel luglio scorso ha messo sotto sequestro gli impianti, si evince chiaramente che in tutti questi anni l’industria siderurgica più grande d’Europa non si è dotata delle migliori tecnologie (le Best Available Technologies – BAT), presentando i punti critici produttori di inquinamento ambientale nell’area a caldo:

-          Impianti di agglomerazione: il sistema di filtraggio delle polveri è talmente obsoleto da essere causa della volatizzazione massiccia di diossina e furani. E’ dunque necessario passare dai filtri elettrostatici a quelli a tessuto di ultima generazione.
-          Parchi minerali: sono a ridosso della città, un’aberrazione voluta per economicizzare il processo produttivo e all’origine della diffusione di polveri letali che ammantano l’intero abitato e ancor più il limitrofo quartiere Tamburi, un tempo celebre per la salubrità dell’aria e la limpidezza delle acque del Mar Piccolo, habitat naturale della famosa ‘cozza tarantina’. E’ necessaria dunque la copertura integrale dei parchi.
-          Le cockerie, cuore dell’area a caldo, a causa dei problemi dei forni, producono benzo(a)pirene, il 92% delle emissioni di Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), così come stabilito dall’Agenzia regionale per l’ambiente (ARPA) nella relazione del 4 giugno 2010; il valore obiettivo del benzo(a)pirene, mortale cancerogeno, è di 1 nanogrammo per metro cubo nelle centraline dell’ARPA presenti al rione Tamburi negli anni 2009, 2010, 2011.
-          Gli altoforni: le emissioni dai camini non è arginata da filtri adeguati. Da oltre dieci anni nei paesi emergenti nella produzione dell’acciaio (Cina, Corea del Sud, India, Brasile, Sud Africa), sono in uso tecniche di produzione alternative al processo d’altoforno. Tra queste, in particolare, la riduzione durante la fusione del minerale di ferro (Smelting Reduction) può essere considerata la vera alternativa all’altoforno.
-          Le acciaierie: il sistema di ossigenazione della ghisa provoca dispersione dei fumi (in gergo tecnico: slopping). Il contenimento dello slopping è possibile solo con il ricorso alle BAT.

Nonostante l’obsolescenza impiantistica dello stabilimento sul fronte dell’inquinamento ambientale, i profitti ricavati dalla famiglia Riva, beneficata dalle privatizzazioni del governo Dini nel 1995, sono stati enormi grazie alle dimensioni e al movimento della struttura: l’Ilva di Taranto ha un’estensione di 15 milioni di metri quadri; ogni anno sui moli del Mar Grande sbarcano 20 milioni di tonnellate di minerali, fossili e coke, accumulati nei parchi a cielo aperto, per una capacità produttiva di circa 10 milioni di tonnellate annue di acciaio.
Ma se si astraesse dalle strabilianti quote di profitto, sarebbe “importante anche iniziare a discutere sulla necessità di ridurre il carico produttivo dell’Ilva di Taranto, troppo gravoso per il territorio che deve sopportarne le conseguenze disastrose sull’ambiente e sulla salute. Già oggi lo stabilimento produce meno della sua capacità (7 milioni circa di tonnellate annue) e cionostante il gruppo Riva continua ad essere al decimo posto nella produzione mondiale dell’acciaio.”[2]

LE DATE DI TARANTO

dicembre 1957: varo della legge nr.634, che stabiliva che il 40% degli investimenti deliberati per le Partecipazioni Statali doveva essere riservato al Mezzogiorno con la creazione di un importante complesso metallurgico.

20 giugno 1959 – Il Comitato dei Ministri per le Partecipazioni Statali, accogliendo in pieno le conclusioni del Comitato tecnico consultivo dell’IRI per la siderurgia, delibera la costruzione di un nuovo grande  centro siderurgico – da affiancare agli altri tre già esistenti a Cornigliano, Piombino e Bagnoli – avendone accertata la convenienza sia nel quadro generale dello sviluppo economico, sia sotto il profilo dell’economicità di esercizio. La località prescelta è Taranto, che vince la concorrenza di altre aree del paese, sospinte dai parlamentari dei territori, proprio per la sua ridente posizione geografica (due mari e un porto già parzialmente attrezzato), nonché con l’accordo delle principali forze politiche, la DC, che ne intravede un ricco potenziale clientelare e il PCI che, con l’attuale Presidente della Repubblica Napolitano, all’epoca responsabile delle politiche per il Mezzogiorno, auspica un polo di sviluppo meridionale che radichi una cosciente classe operaia.

9 luglio 1960 – Posa della prima pietra del centro siderurgico di Taranto

15 ottobre 1961 – Inaugurazione del tubificio, prima unità del centro siderurgico Italsider di Taranto.

10 aprile 1965 – Inaugurazione ufficiale dello Stabilimento siderurgico tarantino (con i due primi altiforni e l’Acciaieria LD già entrati in funzione nell’ottobre 1964) da parte dell’allora Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat.

1974 – Termina la costruzione (“raddoppio”) di nuovi grandi impianti produttivi Italsider, ma si viene a creare una forte ondata di disoccupazione di ritorno. Le organizzazioni sindacali lanciano la ‘vertenza Taranto’, giungendo, dopo una lunga serie di forti battaglie dei lavoratori, all’accordo di mobilità del giugno 1977.  Il “raddoppio” e l’ammodernamento erano costati un investimento di 1.326 miliardi di lire, destinato ad accrescere la capacità produttiva annua a 10,5 milioni di tonnellate di acciaio; l’Ilva sarà (s)venduta, a metà degli anni ’90, sotto l’ombrello ideologico ubriacante delle ‘privatizzazioni’ teorizzate a ‘sinistra’ da D’Alema, per una cifra intorno ai 700 miliardi di lire.

Anni 80 – La ‘vertenza Taranto’, nonostante la sbandierata centralità nazionale della produzione di acciaio, non ferma il declino della siderurgia pubblica: più di 23.000 dipendenti nel 1979, senza contare gli 8.000 dell’indotto, ridotti a neanche 12.000 dieci anni dopo, con all’esterno una desertificazione provocata soprattutto dalla crisi dell’Arsenale della Marina Militare e dalla dismissione della cantieristica navale, impiantate storicamente nella città bimare dalla fine del 1800 e gli inizi del XX secolo.

1 agosto 1990 – con uno specifico decreto del governo approvato dalla Commissione ambiente, Taranto viene ufficialmente riconosciuta “area a rischio ambientale”.

14 marzo 1995 – per l’Italsider di Stato arriva l’ora della liquidazione, dopo l’approvazione da parte dell’IRI di un nuovo piano siderurgico: a prezzi di svendita e saldi (governo Dini) viene ceduta all’industriale lombardo Emilio Riva tutta l’ILVA Laminati Piani, compreso appunto il gigantesco IV Centro Siderurgico di Taranto.

3 marzo 2007 – l’associazione ambientalista tarantina ‘Peacelink’ rilancia l’allarme diossina a Taranto e le vicine aree urbane attraverso un dossier che utilizza dati disponibili a livello nazionale ed europeo: la città sarebbe passata dai 71,4 grammi/anno di diossina del 2002 ai 93 grammi/anno del 2005, il 90,3% rispetto al totale nazionale delle emissioni.

novembre 2007 – il comitato ‘Taranto futura’ lancia la proposta di un referendum cittadino teso alla chiusura dell’Ilva.

16 dicembre 2008 – il Consiglio regionale della Puglia approva il DDL della giunta Vendola che fissa limiti più severi per le emissioni industriali inquinanti. E’ la cosiddetta “Legge anti-diossina”, che prevede che tutti gli impianti in esercizio a partire dal 1 aprile 2009 (poi 30 giugno) non possano superare la soglia di 2,5 nanogrammi di policloro-dibenzodiossina e policloro-dibenzofurani per metro cubo d’aria.

(dati ricavati da Roberto A. Raschillà, Il Siderurgico-Cinquant’anni di acciaio in una città alla ricerca di se stessa, Scorpione ed., 2010)

I MODELLI DI SOLUZIONE PER TARANTO

Non è vero che in tutti questi anni siano mancati investimenti in innovazione e ricerca per l’Ilva di Taranto: il problema è che, sul mercato capitalistico, le quote di profitto reinvestite non hanno riguardato né la salute dei lavoratori né l’ambientalizzazione. L’Italsider di Stato ha consegnato ai privati un acciaio speciale di grande qualità, con caratteristiche particolari ed in alcuni casi uniche e coperte da segreto industriale. Il rovello è sempre stato il miglioramento dei risultati operativi, dunque innanzitutto ritmi di lavoro più intensi e misure di sicurezza ridotte, specie per le giovani maestranze assunte con contratti precari. Prebende e corruttela per la propaganda in città attraverso organi di informazione compiacenti, vere e proprie ‘voci del padrone’, (anche su questo indaga la magistratura), sindacalizzazione cosciente intimorita con i reparti-confino (il caso della palazzina-LAF). Tutto questo ha consentito di integrare e sfruttare al meglio la fabbrica in ogni sua componente (organizzazione, logistica, informatica, elettronica ed elettromeccanica, impiantistica), dando maggiore flessibilità al ciclo produttivo. Nonostante l’avvio di questi processi, però, la caduta tendenziale dei saggi di profitto della siderurgia a livello mondiale avviene per eccesso di produzione e a causa dell’ingresso sul mercato di nuovi prodotti sostitutivi dell’acciaio.  Lo scopo di gran parte degli investimenti nei processi e nei prodotti, l’utilizzo di sistemi avanzati di gestione e di controllo della produzione., in questo quadro, è di assicurare competitività internazionale, ricerca di commesse con più servizi al cliente. Altro che salubrità dell’aria! Innovazione e investimenti sono stati finora finalizzati al miglioramento del prodotto, alla sua maggiore quantità in tempi ridotti, al minor prezzo sul mercato in rapporto alla sua qualità. Non certo in ammodernamento degli impianti in chiave di ambientalizzazione.
Eppure, quanto dista Dangjin da Taranto? Dangjin è una città della Corea del Sud a oltre 100 Km dalla capitale Seul, sulla costa sudoccidentale. A Dangjin c’è l’acciaieria della Hyundai Steel. Secondo il “Comitato dei cittadini liberi e pensanti” (il movimento con simbolo l’ape-car, per intenderci), nella cittadina coreana vi è un modello di soluzione per Taranto. Gli hangar che contengono i materiali ferrosi (i parchi minerali, che a Taranto sono all’aperto, a ridosso della città) sono rigorosamente chiusi: “Entriamo in un enorme hangar in cui sono stipate due montagne di materiale grezzo, totalmente importato e da cui dipende per il 60/70% il costo finale dell’acciaio. (..) Tutto è rigorosamente coperto: se piove o c’è cattivo tempo, così non c’è nessuna dispersione nell’ambiente e la qualità del materiale viene preservata. (..) C’è poi un controllo dei fumi dei forni, filtrati con sistemi sofisticati per evitare che le polveri inquinanti ricadano su chi lavora e sull’area circostante.”[3]
Naturalmente per perseguire questo modello sono necessari investimenti veri, una politica industriale e tempi certi. Politiche lontane dalle volontà di questo governo “tecnico”, così come dalla proprietà dei Riva, che dovrebbero sottrarre quote consistenti di profitto all’ambientalizzazione. L’unico vero protagonista del risanamento possibile è il soggetto operaio, che con la lotta può costringere le parti (compresa la regione Puglia del governatore Vendola), pena la chiusura dell’area a caldo, a intraprendere la strada unica possibile della compatibilizzazione tra la salute, l’ambiente e il lavoro. Il lavoro come strada di riscatto e non come ricatto.

ferdinando dubla, settembre 2012


[1] F.Engels, già nel 1843, negli scritti raccolti ne La situazione della classe operaia in Inghilterra, visitando Manchester, denunciava  la vera ‘ratio’ dell’accumulazione capitalista e nello sfruttamento operaio e nell’inquinamento espilicitava la vera essenza di un modello di civiltà caratterizzante l’industrialismo legato al massimo profitto dei pochi e allo sfruttamento dei molti. D’altra parte, anche il giovane Marx, nei Manoscritti  parigini degli stessi anni, descriveva, grazie al concetto-chiave di alienazione, la soppressione, in regime di proprietà privata, dello spazio vitale degli uomini, così come sottolineava il carattere del lavoro alienato; concetti che saranno ripresi in particolare nel I libro de Il Capitale, ma legati anche a una più compiuta concezione materialistica della storia, alle categorie di divisione del lavoro, critica dell’economia politica e più in generale al conflitto capitale/lavoro. Non si possono naturalmente ricavare dai fondatori del marxismo tutti gli elementi indispensabili alla comprensione delle società del nostro secolo e della crisi delle relazioni uomo/natura/scienza, ma sicuramente, ponendosi dal loro stesso osservatorio interpretativo, è possibile annotare la genesi di un atteggiamento irresponsabile fra una determinata organizzazione di relazioni umane e sociali e le risorse naturali da cui quella stessa organizzazione dipende.
[2] Antonella De Palma, La “cattedrale di metallo e vetro” dove si lavora come 50 anni fa, Il Manifesto, 15/08/2012, che conclude: “Bisogna anche dire che, dei 42 impianti produttivi di proprietà Riva sparsi nel mondo, Taranto è l’unico che utilizzi ancora il processo d’altoforno.  Negli altri siti di proprietà del gruppo, tutti di dimensioni molto minori, sono in uso forni ad arco elettrico, che hanno un impatto ridottissimo sull’ambiente e sono ormai, in Italia, la principale modalità di produzione di acciaio, in aziende che raramente superano i due milioni di tonnellate di produzione annua.”
[3] “Alla Hyundai Steel, dove i materiali sono chiusi negli hangar”, Il Manifesto, 19/08/2012, senza firma.