Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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martedì 12 marzo 2024

LO “SPIRITO DI SCISSIONE” IN GRAMSCI E I SUBALTERNI

 



“il progressivo acquisto della coscienza della propria personalità storica”

- non è il frainteso “scissionismo”, ma l’autonomia del soggetto rivoluzionario, è l’indipendenza di classe, politicamente pone la questione del partito dei subalterni e le alleanze all’interno dell’esercizio egemonico tra le stesse forze che si richiamano alla centralità della lotta delle classi e più complessivamente del sistema entro il quale quella lotta si costruisce. / #subalternstudiesitalia #AntonioGramsci #spiritodiscissione #autonomiadiclasse

 

“Cosa si può contrapporre, da parte di una classe innovatrice, a questo complesso formidabile di trincee e fortificazioni della classe dominante?

Lo spirito di scissione, cioè il progressivo acquisto della coscienza della propria personalità storica, spirito di scissione che deve tendere ad allargarsi dalla classe protagonista alle classi alleate potenziali: tutto ciò domanda un complesso lavoro ideologico, la prima condizione del quale è l’esatta conoscenza del campo da svuotare del suo elemento di massa umana.

Quaderno 3 (XX) 1930: (miscellanea) § 49. Argomenti di cultura. Materiale ideologico.

- anche la storia dei partiti dei gruppi subalterni è molto complessa, in quanto deve includere tutte le ripercussioni delle attività di partito, per tutta l’area dei gruppi subalterni nel loro complesso, e sugli atteggiamenti dei gruppi dominanti e deve includere le ripercussioni delle attività ben più efficaci, perché sorrette dallo Stato, dei gruppi dominanti su quelli subalterni e sui loro partiti. Tra i gruppi subalterni uno eserciterà o tenderà ad esercitare una certa egemonia attraverso un partito e ciò occorre fissare studiando gli sviluppi anche di tutti gli altri partiti subalterni che subiscono tale egemonia.

Quaderno 25 (XXIII) § (5)



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lunedì 11 marzo 2024

SAVASTA E IL GIUDICE - GLI INTERROGATORI - IL COLLETTIVO (7.1)

 



Teche RAI - Savasta condotto in udienza - aprile 1982


  • Il bagaglio
  • Proiettando verso le masse, in termini di coscienza
  • DIALETTIZZARSI


 -Senato della Repubblica - Camera dei deputati VIII legislatura - Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia - Atti giudiziari - Interrogatori resi da Antonio Savasta a varie autorità giudiziarie, Roma, 1993-

Interrogatorio del 29 aprile 1982-

Sintesi pp. 55-57 


 Il bagaglio

PRESIDENTE. (P.): qual era il suo bagaglio culturale? Come si arricchì? se si arricchì..

SAVASTA. (S.): Approfondendo meglio il punto più importante, anche per il tipo di bagaglio culturale e politico che avevo alle spalle…

(P.): Qual era questo bagaglio ?

(S.): Quello di una grande esperienza collettiva, in cui la discussione (per esempio, anche all’interno delle scuole) avveniva tramite un processo di crescita collettiva. I problemi che si analizzavano non erano semplicemente quelli scolastici. Ad esempio, dibattito intenso vi fu sull’internazionalismo, sullo strapotere dei blocchi imperialisti, l’analisi dell’Italia come anello subordinato di questi blocchi. La cultura si arricchiva progressivamente al dibattito politico collettivo, anche attraverso studi, libri, i classici del marxismo e del leninismo. 

(P.) Che cosa ha letto?

(S.) Un pò tutti, Lenin, Mao, Marx.

(P.) Li aveva letti tutti?

(S.) Tutti no, però abbastanza. È un tipo di studio che si rinverdisce presto, proprio perchè lì si trovano spunti, momenti di riflessione politica che offrono un quadro generale per le verifiche particolari delle situazioni reali.

(P.) Qual era il suo livello culturale?

(S.) Sto cercando di spiegarlo, ma partiamo da due parametri completamente diversi. Il mio livello culturale, come s’intende ‘normalmente’, è il livello culturale di persone che studiano. Una persona oggettivamente si pone degli obiettivi all’interno dello studio e li persegue (laurea o altro). Questi parametri non valgono per la costruzione di coscienza o di strumenti teorici; per quanto riguarda il movimento, è impossibile un tipo di studio del genere: sarebbe uno studio completamente avulso dalla realtà. È invece il costante arricchimento del dibattito collettivo che fa sì che quello studio diventi strumento reale per la crescita di coscienza politica.

(P.) Lasci stare le parole. Andiamo al sodo. Abbiamo anche noi i nostri studi alle spalle. Saranno più modesti dei suoi, ma qualcosa l’abbiamo letta. Quello che desidero sapere è terra-terra: si era accostato a determinati testi, li aveva approfonditi? Non voglio sapere i giudizi che Lei diede di questi testi, ma di cosa si era alimentata la sua cultura. 


 (7.2) Sintesi pp. 57-59


Proiettando verso le masse, in termini di coscienza

 

(S.) Ho fatto semplicemente studi per il diploma (liceo classico, ndr). Il tipo di cultura è quello alimentato dalla scuola.

 

(P.) Aveva dunque una cultura liceale. Poi, se ho ben capito, ha detto che la sua cultura (non nel senso di padronanza del mondo) si arricchiva, sul terreno pratico, attraverso gli incontri con altre persone, attraverso le esperienze che venivano maturando. Quando ha avuto la discussione politica con Morucci, su che cosa verteva?

 

(S.) Verteva sull’analisi dello Stato, dell’economia, del partito, del movimento, elementi costitutivi di un’analisi politica: ogni partito la fa, le BR la fanno in una certa maniera.

 

(P.) E in quale maniera?

 

(S.) Partendo dall’analisi della crisi: da che cosa è determinata, quali sono gli strumenti con cui il capitale tenta di risolvere una crisi irreversibile; il problema dello Stato imperialista delle multinazionali (il fatto che l’Italia fosse all’interno di una catena imperialista, imperialista essa stessa perchè, nel modo di produzione del capitalismo italiano era la scelta delle multinazionali imperialiste, ossia la sottomissione di altre forze-lavoro o di altri popoli alla costruzione di un capitale nazionale). Da questa analisi deriva l’analisi dei partiti che si legano più o meno a questa linea economica: cioè la struttura (quella economica) e la sovrastruttura (quella politica). Dopo, c’è l’analisi della risposta proletaria (l’antagonismo) a questa scelta economica e politica: perciò, l’analisi delle lotte dal ‘68 in poi hanno contribuito a creare questo antagonismo; la scelta della lotta armata, come l’organizzazione delle Brigate Rosse si ponesse come nucleo per la costruzione del partito, ma avendo già al proprio interno, e proiettando verso le masse, un’azione di partito.

 

(P.) Vediamo che cos’era questa costruzione del partito in questo programma.

 

(S.) Costruzione del partito significa avere come obiettivo non semplicemente un’organizzazione che vive su se stessa, ma un’organizzazione che si propone programmi politici per aggregare interi settori di classe e dirigere in questo processo la classe stessa.

 

(P.) Ma rispetto alle BR, che cos’era questo partito, in termini concreti, strutturali, istituzionali?

 

(S.) In termini concreti è la costruzione del quadro professionale, prima di tutto. Tutta la sua struttura poggia sulle spalle del famoso guerrigliero di professione, che ormai ha lasciato qualsiasi vincolo con la società esterna e sceglie di professione il lavoro dentro l’organizzazione; costruisce, in termini di coscienza e di preparazione politica, se stesso.

 

(P.) Non è questo che le chiedo, non la proiezione individuale dell’immagine di partito, non le condizioni di vita del cosiddetto guerrigliero, ma molto più semplicemente e in concreto che significava questa costruzione di questo partito.

 

(S.) Significava lanciare dei programmi politici e strutturarsi in maniera tale - all’interno dell’organizzazione - con quel tipo di struttura, con quello strumento, costruendo programmi politici come qualsiasi partito (programmi politici la cui finalità è il comunismo); attraverso programmi in termini politici (nei volantini e nelle ‘campagne’), per costruire una parte di questo partito, ma, come fine ultimo, il comunismo. 




Sintesi pp. 59- 61

 

DIALETTIZZARSI

 

Presidente (P.) Abbiamo questa organizzazione, le BR, che non ci interessa ora definire in termini giuridici. Cosa abbiamo poi per costruire questo partito?

 

Savasta (S.) Assolutamente niente altro.

 

(P.) Si parla sempre di “costruire il partito”, “il partito è già costruito”, “il partito è già nato”. Ci spieghi qual è la linea di demarcazione tra l’organizzazione BR e il partito.

 

(S.) Non c’è una linea di demarcazione. Meglio di me è spiegato nei documenti dell’organizzazione, nella ‘risoluzione strategica nr.2’. Le BR sono nate come nucleo centrale per la costruzione del partito. Il fatto che oggi si parli nei volantini di Partito-Guerriglia, Partito Comunista Combattente e così via, è dovuto non a differenze nella struttura interna nè ad uno stravolgimento dei programmi politici, ma ad un’analisi diversa dell’attuale situazione. Nella prima fase, fino a Moro, l’organizzazione BR si chiamava “organizzazione comunista combattente” perchè aveva come obiettivo, all’interno di quella congiuntura politica, in quello spazio politico di tempo (dalla costituzione fino a Moro) il semplice compito di propaganda della lotta armata, far sapere che era possibile ribellarsi a questo sistema anche se dentro il sistema imperialista, seppur all’interno dello schieramento strategico. Quell’organizzazione aveva il compito di aggregare intorno a sè soltanto delle avanguardie, cioè gente disposta ad entrare nelle BR per costruire, come tappa intermedia, il partito. Perciò era ancora un obiettivo da raggiungere, che non è all’interno dell’organizzazione, ma nel rapporto tra organizzazione e masse. Si è cominciato a parlare, nell’organizzazione, e dopo Moro, e soprattutto dopo la campagna D’Urso, del rapporto tra organizzazione e organismi di massa rivoluzionari (cioè del rapporto tra partito e strutture d’avanguardia organizzate clandestinamente in dialettica con il programma rivoluzionario).

 

(P.) Che cos’erano queste strutture di avanguardia organizzate?

 

(S.) Sono quelle che, durante il periodo Moro, ebbero come prima denominazione quella di M.P.R.O. (“Movimento Proletario di Resistenza Offensiva”). Per esso, tuttavia, allora vi era ancora un’ambiguità: in termini politici (e questo è stato anche frutto di discussione interna all’organizzazione) M.P.R.O. è l’insieme dei comportamenti antagonisti della classe, che va dal sabotaggio all’interno della fabbrica allo sciopero a “gatto selvaggio”, ai cortei nelle piazze, agli scontri, all’occupazione delle case: quelli che in realtà, ordinamento alla mano, sono fuorilegge, ma imposti dai rapporti di forza all’interno del Paese, tra Stato e movimenti di classe. Questa terminologia politica indicava l’insieme di tutte queste cose, più i primi nuclei d’avanguardia, cioè compagni che, non entrando nelle BR, portavano all’interno dello scontro di classe l’iniziativa armata, dialettizzandosi soprattutto con alcuni punti dei programmi, lanciati dalle organizzazioni comuniste combattenti.

 

(P.) Che vuol dire “dialettizzarsi”? Dal punto di vista filosofico, il termine ha un certo significato. Lei ne ha fatto un certo abuso.

 

(S.) Durante la campagna Moro vi è stata tutta una serie di attentati contro la democrazia cristiana (sedi, macchine, personaggi) e contro macchine di agenti di polizia e carabinieri: moltissimi attentati in tutta Italia. Le BR non avevano rapporto organizzativo con i singoli nuclei che portavano avanti queste iniziative, ma erano riuscite a piegare, attraverso l’iniziativa stessa della campagna di primavera, e a indirizzare politicamente questi nuclei.

 

Senato della Repubblica - Camera dei deputati VIII legislatura - Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia - Atti giudiziari - Interrogatori resi da Antonio Savasta a varie autorità giudiziarie, Roma, 1993

Interrogatorio del 29 aprile 1982

[(7.1) continua]

trascrizione e titoli: Ferdinando Dubla, #irriducibilepentito capitolo 7 paragrafo 1









mercoledì 6 marzo 2024

IL MAGAZZINO DI GRAMSCI E TASCA

 



“Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini.”

Vedo citata spesse volte questa frase, contro il nozionismo e la falsa erudizione e la sua attribuzione a Gramsci. Secondo lo studioso David Bidussa, l’articolo da cui è tratta, non firmato, sull’Ordine Nuovo nr. 8 del 1919, sotto il titolo ”Cultura e socialismo”,  è attribuibile ad Angelo Tasca, cfr. NON È UN'UTOPIA – LE RIVISTE DEL NOVECENTO COME LABORATORIO DI FUTURO. “L'ORDINE NUOVO” (1919-1920), Fondazione G.G.Feltrinelli, 2019, p.1., in rete



https://fondazionefeltrinelli.it/app/uploads/2019/04/Non-e-un-utopia-David-Bidussa.pdf

da alcune note biografiche e lo  stile.

Evidentemente, se così fosse, la frase, e tutto l’articolo, a Gramsci piaceva, come piace a noi, i suoi dissapori con Tasca sono successivi e comunque non gli facevano velo. Se andate però su Google e digitate la frase, vi esce solo Gramsci. Compresa la Treccani, che, come la maggior parte, indica clamorosamente i “Quaderni dal carcere” (senza altra specificazione). Un copia e incolla collettivo senza controllare le fonti, che indicano un’attribuzione, poichè senza firma, quantomeno incerta. La rete, infatti, sarà pure un magazzino fornito, ma non è la capacità che la nostra mente ha di comprendere.

- Se volete leggere l’articolo completo (bellissimo e attuale) andate qui



https://archive.org/details/OrdineNuovoP1/page/n53/mode/2up

“Ha cultura chi acquista coscienza di sè e del tutto, chi sente la relazione immanente con tutti gli altri esseri, ciò che da essi lo diversifica e ciò che ad essi lo unisce. Cultura è una stessa cosa che filosofia.

Ciascuno di noi è un poco filosofo: lo è tanto più, quanto più è uomo. Cultura, filosofia, umanità sono termini che si riducono l'uno all'altro. Nel linguaggio comune si suol dire che un tale è un “uomo” quando ha un “carattere”, quando cerca di rendersi conto di quel  che fa, riflette sui motivi delle proprie azioni, osserva attorno a sè, confronta, medita e sceglie il proprio cammino, e lo continua finché non sorgono ragioni serie per mutarlo. Cosicché essere “colto” essere “filosofo”, lo può chiunque lo voglia. (..)

Quando la coscienza di classe non è frase da comizio, non è solo nel pagamento della tessera e delle quote, ma diventa vera “coscienza”, cioè dei rapporti per cui la vita di ognuno s'inserisce per l'organismo vivente della classe nella storia del mondo, in cui opera e che va trasformando, essa è veramente la più grande opera di cultura che la storia ricordi.”

- Continuiamo a credere che l’editoriale sia di Antonio Gramsci, ma bisogna citarlo correttamente:

edit. “Cultura e socialismo”, Ordine Nuovo,  28 giugno - 5  luglio 1919, anno I, nr.8 - segr. di redazione Antonio Gramsci


(a cura di Ferdinando Dubla)


sabato 2 marzo 2024

SAVASTA OGGI, ma ERA IERI

 



L'articolo che il periodico OGGI  dedicò ad Antonio Savasta nel numero del 24 marzo 1982, anno XXXVIII, Nr.12

Al netto di quello che oggi viene definito 'gossip', al limite del pettegolezzo de relato, delle imprecisioni e inesattezze che abbiamo sottolineato in nota, questo articolo che il settimanale OGGI dedicò ad Antonio Savasta, dopo la sua cattura del 28 gennaio 1982 ad opera dei NOCS che riuscirono a liberare il sequestrato generale della NATO in Italia James Lee Dozier, le torture inflittegli e il pentimento, dimostra il livello di notorietà che aveva raggiunto il brigatista romano divenuto il 'capo' della colonna veneta delle BR. In effetti, le sue rivelazioni coincisero, di fatto, con la fine dell'esperienza storica dell'insorgenza politico-militare organizzata, che era nata e si era sviluppata per tutti gli anni '70 del Novecento in Italia. La sua personalità, prima di irriducibile militante della direzione di colonna romana con Morucci e Faranda, poi, in seguito alla fuoriuscita di questi agli inizi del 1979 per i dissidi dopo il sequestro e l'assassinio di Aldo Moro, dell'area 'ortodossa' di Mario Moretti e Barbara Balzerani che aveva dato vita alle BR-per il PCC (Partito Comunista Combattente); poi pentito 'eccellente' tra torture, ripensamenti e confessioni, è da analizzare attentamente non attraverso la sola lente della ‘verità giudiziaria', ma per un articolato giudizio documentale più ampio e di carattere storico-politico.  / Ferdinando Dubla, Subaltern studies Italia - #inchiestasociale #alidipiomboinoccidente #AntonioSavasta #irriducibilepentito

titolo: Diventò un killer feroce per non morire d'amore

autore: Fabio Galiani

L'ultimo domicilio conosciuto di Antonio Savasta, quando lo chiamavano "Toto" e per tutti era "l'angelo delle borgate", è (omissis) nel quartiere Prenestino, a Roma. Lì sono andato a trovare, prima tappa del "viaggio attraverso chi lo conosceva bene", sua mamma e suo papà. E' stato un incontro drammatico, molto breve ma struggente per le lacrime irrefrenabili di mamma Savasta. Lo si poteva ben immaginare. Il suo ragazzo, che ora è il grande pentito, è stato il più spietato assassino delle Brigate Rosse.

"Come può chiedermi di parlare, cosa crede che possa sapere io?", mi dice, con la voce che trema, la signora Savasta. Minuta, popolana, casalinga, i suoi occhi sono diventati subito umidi al solo nome del figlio. Ma poi continua: "Lo vede come stiamo? Mio marito è appena uscito dal quarto infarto. Noi stiamo morendo, ecco, stiamo morendo per disperazione".

Il marito, Pasquale Savasta, ex maresciallo di polizia ora in pensione, è un passo dietro di lei, nel corridoio, in piedi, silenzioso, immobile, come di marmo. Sto ancora pensando se, cosa e come chiedere, quando lei riprende a parlare. Le sue guance sono già bagnate di lacrime. La voce le si spezza in brevi singhiozzi.

"Non posso credere, non posso capire", mi dice. "Non riesco a pensare a mio figlio se non come al bravo ragazzo che era. Perchè era bravo, era bravissimo. Quante volte ci siamo detti che era la nostra consolazione. Lei può andare, può chiedere, può fare quello che vuole. Qui non sentirà nessuno parlare male di mio figlio. Lui era uno che si dava da fare, che aiutava tutti ed era rispettoso. Finchè è stato con noi è stato un figlio modello. Anche se sapevamo che non era delle stesse idee di mio marito, però, ha sempre portato molto rispetto a suo padre. Poi che cosa è successo? Che cosa è successo quando è andato via? Mi sembra impossibile di non aver capito che stava cambiando. Io lo conoscevo, lui mi parlava, gli volevo bene. Ma perchè, perchè?".

E poi, piangendo forte, la signora Savasta mi allontana. Le ultime parole che sento, mentre chiude la porta, sono: "Basta, basta, noi stiamo morendo".

Forse questa non è una testimonianza attendibile su Antonio Savasta. Ma nello sfogo pieno di disperazione della madre si coglie già la duplicità che caratterizza la sua personalità. Antonio Savasta è sempre stato buonissimo quando era con i buoni e cattivissimo quando era con i cattivi. era il più duro dei brigatisti, ora è il più morbido dei pentiti. La voglia di essere sempre il primo è forse il lato più saliente di questo personaggio: insieme però all'incertezza che ha costantemente caratterizzato i suoi continui cambiamenti nelle scelte di vita. Tutti repentini e inaspettati, fino all'ultimo, clamoroso, che in 90 secondi lo ha trasformato da "giustiere" del generale Dozier a "giustiziere" delle Brigate Rosse.

Nelle pagine di questo stesso servizio diamo, a parte, l'elenco delle confessioni di Antonio Savasta. Non è dunque necessario che ve le ricordi qui. Riprendiamo subito il nostro "viaggio attraverso chi lo conosceva bene".

Siamo ancora al Prenestino, sotto casa sua. Parla il meccanico che ha l'officina nella porta accanto:"Io non lo vedo più da tanti anni, ma quello che mi ricordo è che era bravo. Mica per modo di dire, sa, è che era proprio un ragazzo di cuore. Mi ricordo che qui tutti lo cercavano perchè lui, che faceva il liceo e era bravo, dava ripetizioni gratis ai ragazzini. Dove lo trovi uno così? Poi, mi pare nel '72 o '73, insomma quando c'è stata l'occupazione delle case alla borgata San Basilio, lui era sempre laggiù che radunava i ragazzini e li badava e li faceva scuola. Sempre gatis, naturale. Tanto che noi, un pò per scherzo ma pure sul serio, lo chiamavamo "l'angelo delle borgate". Era uno così, lui, quand'era ragazzo".



su questo blog,


"UN TIPO SVEGLIO"

A quell'epoca, Antonio Savasta, "Toto" per gli amici, stava finendo il liceo. Aveva 17 anni. Ma "l'angelo delle borgate" aveva già una doppia vita e, alle spalle, già due svolte decisive.

Racconta un suo compagno, vicino di casa, che lo frequentava spesso anche perchè, d'abitudine, lo accompagnava in giro con il proprio motorino: "Io me lo ricordo cattolico, nel '70. Era nel gruppo del 'raggio' ed era un militante deciso. A scuola andava bene, però era sempre in prima fila quando c'era da fare contestazione. Noi lo consideravamo molto sveglio ed è sempre stato uno che aveva carisma. Le sue idee di cattolico le portava avanti fino in fondo. Si dichiarava massimalista, sempre. Poi, un bel giorno, all'improvviso, con i cattolici ha smesso. Siccome suonava la chitarra, aveva deciso che la sua vita era la musica. Ha piantato la politica e gli amici ed è diventato un freakettone. S'è messo a frequentare gli ambienti freak di piazza Navona e di Campo de' Fiori. Mi pare che suonava pure in un complessino. Praticamente io l'ho perso di vista per quasi un anno, anche se lo vedevo sempre lo stesso, perchè abitavamo vicini. Poi è tornato, ma s'è messo a frequentare il comitato comunista Centocelle e, a scuola, faceva le battaglie estremiste, Per me, era già mezzo autonomo".

A Campo de' Fiori non ho trovato nessuno che lo ricordasse. A piazza Navona, invece, c'è ancora una ragazza che è lì da quei tempi. Dice: "A me  non mi mettete in mezzo ma sono sicura di aver spinellato tante volte con lui. Sono sicura che era proprio questo Savasta qui. Per me, era strano. Fumava la roba ma chissà che effetto gli faceva. Io lo vedevo perchè lui litgava coi suoi compagni. Aveva delle idee strane. Voleva fare il capo, voleva cambiare le cose a modo suo, ma era diverso, diverso di mentalità, per forza che litigava. Io l'avevo capito che non era uno adatto. Per me, era un mezzo borghese, sai, uno di quelli che ci provano, ma poi a una certa ora, c'è la famiglia e allora basta".

"UN MEGALOMANE"

Al comitato Centocelle, Antonio Savasta incontra Emilia Libéra. E' la svolta sentimentale della sua vita. Forse di più, secondo alcuni. Emilia, detta Milly, è la ragazza di Bruno Seghetti, ma presto diventerà la ragazza di Antonio. Forse, per Milly, c'è stato uno screzio tra i due giovani. Ma subito appianato. Tutti e tre militano nelle file di Autonomia. Insieme a Seghetti, Antonio diventa il collaboratore di Valerio Morucci, ma non è ancora un brigatista.



Emilia Libéra e Antonio Savasta  


Sulla sua militanza nell'Autonomia e sui suoi rapporti con Milly ho una testimonianza, raccolta telefonicamente , per interposta persona. Ecco il sunto della telefonata; così come me lo ha fatto l'intermediario: "Lui sostiene che quello che si deve dire, di Savasta, è che si tratta di un megalomane che non ha mai saputo quello che voleva veramente. Faceva l'autonomo per fare il bello con Milly, che è la prima e l'unica ragazza che ha avuto. Seghetti s'era arrabbiato, per la storia di Milly, e l'avrebbe spezzato in due se non gli avesse fatto pena, così mingherlino com'è. Adesso vanno dicendo che era un trascinatore , un leader che magnetizzava la folla nei comizi. Sono balle, montature. Tutto perchè a scuola faceva il leader di quattro ragazzini. Lui dice che lo conosceva bene. Sa che è un gran figlio di buona donna e l'ha dimostrato. E' intelligente, è furbo, a modo suo, ma la statura del vero capo non ce l'ha mai avuta. Uno che si vantava di aver fatto 17 omicidi vuol dire che è un terrorista che va bene per i fumetti. Ci si è trovato dentro per Milly. Dice che quello se la faceva addosso se Milly lo lasciava. Anche se lui il killer lo ha fatto davvero rimane uno con la mentalità dei fumetti. Dice che prima, all'università, faceva il mazziere della sinistra, figurarsi, con quel fisico che aveva. E' che Savasta, secondo lui, fa le cose perchè è complessato. Ha sempre avuto il complesso del padre che gli faceva delle scenate tremende. Aveva il complesso delle donne, che non lo filavano. Aveva sempre il complesso di fare il primo a tutti i costi. Adesso vuol fare il primo tra i pentiti. Ma tutto per mettersi in mostra. lui dice che se lo ricorda bene, nel '77, quando dicono che è entrato nelle Br con Peci e Moretti. All'improvviso s'è messo a vestirsi in giacca e cravatta e a non salutare più nessuno. Lui dice che se uno non vuole destare sospetti si comporta normalmente, come sempre, mica cambia improvvisamente. Ma Savasta no, faveva lo strano, il misterioso, perchè gli amici lo notassero, e si chiedessero : ma che gli è successo?".

E questo è tutto. Nell'agosto del 1979 Antonio Savasta scompare di casa. Emilia Libéra è sempre al suo fianco. Ora si sa che il suo battesimo del fuoco lo aveva avuto nel febbraio del 1978 quando dalle parti di piazza Bologna, a Roma, uccise il magistrato Riccardo Palma. (+) Il resto, fino all'epilogo nel covo-prigione di via Pindemonte a Padova, è nella tragica, allucinante sequenza delle sue confessioni.

nota (+) In realtà non fu Savasta ad uccidere l'allora direttore dell'Ufficio VIII della Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena; egli entrò nella colonna romana delle BR come 'regolare' dopo il sequestro e l'assassinio di Aldo Moro. Come è stato accertato, a compiere materialmente l'attentato era inizialmente previsto l'allora ventunenne brigatista Raimondo Etro, la cui identità fu celata per molti anni sotto il nome di "Carletto". Fu appurato che in realtà a uccidere Palma fu Prospero Gallinari, sostituitosi a Etro all'ultimo momento. Parteciparono all'attentato anche  Alessio Casimirri e Rita Algranati, cfr. Commissione Parlamentare d’Inchiesta L. 30/05/2014 n. 82 pg. 180 

Anche i 17 presunti omicidi sono "leggenda metropolitana". In realtà, dalle risultanze processuali il Savasta si è reso autore direttamente di due omicidi, quello del colonello Varisco e del dirigente Montedison Taliercio, cfr. Vedi alla voce Antonio Savasta, su questo blog http://ferdinandodubla.blogspot.com/2023/12/vedi-alla-voce-antonio-savasta.html (ndr)

 

e.book libro progress in

Ferdinando Dubla (a cura di), Irriducibile pentito - Savasta e le Brigate Rosse  






sabato 24 febbraio 2024

NOTE SU "ORIENTALISMO", FILOSOFIA e COMPARAZIONI 'INTERSEZIONALI'

 



NOTE SU ORIENTALISMO e FILOSOFIA

 

- Il libro "Orientalismo" ha rotto la comprensione convenzionale di vecchia data della relazione culturale tra Oriente e Occidente nei circoli accademici occidentali, ha analizzato e criticato l'imperialismo culturale e ha aperto una nuova prospettiva del rapporto tra Oriente e Occidente, in particolare il rapporto culturale.

Author: Edward W. Saïd, Orientalism

Pantheon Books, Publication date 1978

Edward Said, l’”Orientalismo” e la “traveling Theory”

- Said ha utilizzato la "Traveling Theory" (+) per spiegare lo specifico processo di formazione dell'orientalismo: l'orientalismo con immagini orientali rappresentate e ritratte da viaggiatori, missionari e colonizzatori è stato prodotto in un contesto storico specifico, a causa della variazione del contesto del testo quando si è diffuso da est a ovest; l'orientalismo, che originariamente cercava di diventare "conoscenza oggettiva", si trasformò in orientalismo come immagine creata dai poteri dominanti costituenti; per dirla con Gramsci, dall’ideologia del ‘senso comune’ e, con Marx, dalla ‘falsa coscienza’. Di fronte a questa situazione, Said ha sottolineato che abbiamo certamente bisogno di una teoria, ma abbiamo soprattutto bisogno di efficacia ermeneutica, cioè di coscienza critica.

(+) La "teoria del viaggio" di Edward Said si riferisce alla trasmissione e all'adattamento di idee attraverso diversi contesti e discipline.

 

- Il libro di Said “Orientalismo” (1978) è diventato una base classica e teorica per la cosiddetta critica post-coloniale. Le discipline orientaliste hanno rappresentato il tentativo di controllare i territori colonizzati attraverso la determinazione della loro immagine, l'immaginario a loro legato e la narrativa che li rappresenta. Con Said si sviluppa ulteriormente la categoria, che è concettuale e politica insieme, di imperialismo culturale.

Tipico delle teorie definibili come orientaliste è dunque la tendenza a considerare grandi complessi culturali, come l'Islam, l'India o addirittura l'intera Asia, riassumibili in pochi caratteri generali, quali ad esempio spiritualismo, irrazionalismo, fanatismo, dispotismo, e di considerare questi caratteri come immutabili. il pensiero indiano, ad esempio, tenderebbe per natura al misticismo; l'Islam, invece, tenderebbe al fanatismo, e in generale tutti i popoli asiatici sarebbero per natura impossibilitati a costruire una "vera" democrazia. —

Ma può essere la filosofia a rompere gli stereotipi della cultura dominante occidentale? E se sì, quale filosofia?

Geospazio, temporalità e categorie del punto di osservazione. Nord-Sud, Oriente-Occidente.

- Gli stereotipi scompaiono appena si entra nel merito dei contenuti, come al solito. La geografia diventa anch’essa filosofia. Contemplazione, meditazione, concentrazione, ascesi, misticismo, spiritualità, da una parte e riflessione, raziocinio, scienza e coscienza dall’altro? Niente affatto. Sia l’una tradizione filosofica che l’altra contengono nelle modalità contestuali della loro storia, l’interrogazione costante dell’essere umano su se stessi, la propria vita di relazione, soggettività ed oggettività, ermeneutica e costruzione del mondo, la meraviglia, che è aristotelica e zaratustriana insieme, dell’infinito che sovrasta gli stessi orizzonti del limite, quello che mirabilmente Ernesto de Martino chiamava “ethos del trascendimento” e Plotino l’estasi, l’ex-stasis, l’uscire fuori di sè, perdere la presenza nella vertigine di un assoluto che si presuppone come tale.

 

Said, oriente e occidente, Gramsci e Foucault -

 

Secondo Gramsci, una certa forma culturale può dominarne un’altra; Gramsci chiamò questa forma culturale dominante "egemonia culturale". Il capitalismo usa i dis/valori che lo permeano e la ‘narrazione’ egemonica, per raggiungere l'identità culturale conformistica del senso comune di massa. Edward Said (1935-2003) il prestigioso intellettuale di origini palestinesi docente alla Columbia University e autore del testo che ha dato origine e sviluppo a “criticism and postcolonial studies“, “Orientalism” (1978), ha assorbito questa teoria come riferimento, e l'ha inserita nel rapporto di potere tra cultura occidentale e cultura orientale. L'orientalismo rappresentato dai paesi occidentali è una nuova politica coloniale stabilita dall'imperialismo. Esso restringe le differenze tra i paesi orientali e occidentali in superficie, ma l'obiettivo ultimo è ancora quello di stabilire un nuovo tipo di relazione di potere diseguale tra coloniale e colonizzato. L'orientalismo è una manifestazione di egemonia culturale, il concetto di egemonia culturale conferisce all'orientalismo il potere di sostenersi.

 

Said discute l'orientalismo anche nel senso del discorso di Foucault, considera l'"Oriente" come l'altro della cultura autoidentificata occidentale e stabilisce la cosiddetta "essenza" e il valore dell'Occidente nel diverso ordine dei concetti che vengono imposti dalla grammatica del potere. Pertanto, l'Oriente è l'"Oriente" creato dalla cultura occidentale. Che sia come regione geografica o come concetto culturale, è la "costruzione" della storia e della cultura occidentale, ed esiste come l'opposto, l'"altro" della cultura occidentale. /

 

“Chi di voi non è filosofo, scagli la prima pietra”. (fe.d.)

 

TRA ORIENTE E OCCIDENTE, LA RICERCA ‘INTERSEZIONALE’

 

Il neoplatonismo -

La figura dello studioso irlandese Eric Dodds è emblematica della fecondità di una ricerca condotta con gli strumenti plurimi delle scienze umane. Non è solo uno storico del pensiero rigoroso, filologico e insieme interpretativo, è anche un antiaccademico, (*) oggi si direbbe ‘intersezionale’, perchè introduce, nella sua disamina analitica, strumenti ermeneutici antropologico-culturali e psicologico-psicanalitici. Fondamentale rimane, tuttora, “The Greeks and the Irrational“ del 1951, tradotta in varie lingue tra cui l'italiano, in cui vengono elaborate alcune categorie ermeneutiche ancora utilizzate, come, ad esempio, cultura della vergogna (shame culture), cultura della colpa (guilt culture) e timore della libertà (fear of freedom).

Credo però che una delle sue opere più rilevanti in questo senso sia “Temi fondamentali del Neoplatonismo. Filosofia e spiritualità nel pensiero tardo-antico (reperibile oggi nell’edizione a cura di D. Iezzi, Mimesis, Milano-Udine, 2021). La pedanteria filologica con cui va studiata la complessità di una teoresi astratta come quella della tarda antichità, in cui si forma l’intero apparato teoretico del cattolicesimo, apparato presente ai giorni nostri per inciso (per coloro che credono nell’anacronismo di ricerche e studi non apparentemente e strettamente legati all’attualità: stiamo parlando dell‘autoaffermata “cultura egemone” della sedicente “civiltà occidentale”! ), la meraviglia che può venire dalla lettura delle Enneadi di Plotino, filosofo egiziano ponte tra oriente e occidente, il parallelismo ‘anacronistico’ con la teoria dell’illuminazione del buddismo, gli stili di vita e l’approccio all’alimentazione vegetariana come filosofia del suo allievo Porfirio, devono superare gli stereotipi disciplinari, altrimenti non si fa storia della cultura, ma, come diceva il mio maestro Cesare Luporini, una sola cultura come storia.

 

(*) quando parliamo di ‘antiaccademia’ semplifichiamo, forse troppo: è la chiusura nello specialismo di ricerca che impedisce la capacità trasversale dell’interpretazione di testi e autori.

 

sabato 24 febbraio ore 18.30 al circolo cittadino di Manduria un convegno organizzato dalla Scuola di Filosofia ‘Giulio Cesare Vanini’ sulle filosofie orientali e l’”orientalismo”: Confucio, Mo-Ti, il Buddha e il buddismo come filosofia e psicoterapia, la scomposizione delle coordinate geografiche per le coordinate filosofiche di categorie come ‘occidentalismo’ e ‘orientalismo’.

La filosofia stessa è ponte tra oriente ed occidente, che da coordinate geospaziali diventano teoretiche. A sua volta il tema dell’”illuminazione” è un ponte tra filosofia d’oriente e d’occidente. (fe.d.)

L’oppositore di Confucio, Mo-Ti, filosofo cinese vissuto nel V secolo a.C., fu iniziatore di una scuola filosofica affermatasi prima dell'unificazione imperiale, ma non lasciò grande traccia di sè se non come oppositore di Confucio. Mo-Ti era contrario alla sacralità dei riti e della tradizione, affermava che la guerra è una forma di brigantaggio e per ovviare ai mali sosteneva che occorreva vivere frugalmente, con rispetto delle leggi, timore degli dei e degli spiriti, pratica dell'amore universale. Il confucianesimo, al contrario, sosteneva una gerarchia di affetti in relazione ai particolari rapporti esistenti fra gli individui. (or.cap.)

- a cura della scuola di Filosofia “Giulio Cesare Vanini” di Manduria.

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Nelle religioni asiatiche, come l'induismo, il taoismo, e soprattutto il buddismo, l'estasi è il momento sacro in cui avviene l'illuminazione, ed è il pieno sviluppo delle potenzialità e delle qualità naturali presenti nell'individuo. Questo stato è anche chiamato onniscienza oppure saggezza suprema e perfetta, dal sanscrito anuttarā-samyak-saṃbodhi, comunemente detta semplicemente Bodhi, e corrisponde all'illuminazione del Buddha; è lo stato in cui la mente diventa illimitata e non più separata dal resto del mondo, il punto in cui il microcosmo della persona si fonde con il macrocosmo dell'universo.

 

 

Diventa così possibile una condizione di nirvana alla quale ci si allena sotto la guida di un maestro tramite la meditazione, cioè la concentrazione su di sé e la consapevolezza della propria energia.

 

Secondo Plotino (filosofo ellenistico neoplatonico del III secolo d.C.), l'estasi è il culmine delle possibilità umane, che avviene dopo aver compiuto a ritroso il processo di emanazione dalla divinità: essa è un'autocoscienza, ed è la meta naturale della ragione umana, la quale, desiderando ricongiungersi col Principio da cui emana, riesce a coglierlo non possedendolo, ma lasciandosene possedere. Il pensiero cioè deve rinunciare ad ogni pretesa di oggettività abbandonando il dinamismo discorsivo della razionalità, ovvero negando se stesso. Tramite un severo percorso di ascesi, che si serve del metodo della teologia negativa e della catarsi dalle passioni, la ragione riesce così a uscire dai propri limiti, superando il dualismo soggetto/oggetto e compenetrandosi con l'Uno. Quello di Plotino non è tuttavia un semplice panteismo naturalistico, poiché per lui l'estasi è essenzialmente un percorso in salita verso la trascendenza. Appunto, un “ethos del trascendimento”.

(vedi concezione del rito e del mito in Ernesto de Martino)

Il tema dell’”illuminazione” è il ponte tra filosofia d’oriente e d’occidente.

Come teoreticamente sia possibile funzionalizzare punti dirimenti di teorie filosofiche, attraverso la comparazione ’intersezionale’ , ma filologicamente corretta, abbracciando una gamma molto più ampia di ipotesi interpretative. Qui, studiando Plotino, si arriva all’ethos del trascendimento dell’antropologia culturale di Ernesto de Martino, cioè non all’ascendenza, ma alla similitudine con le teorie dell’”illuminazione” dei tipi di buddismo come mistica apofatica, ma sia sacrale e religiosa sia laica, desacralizzata e agnostica, di natura psicologica.

DALL’EX/STASIS (uscire fuori di sè) ALLA COSCIENZA del SÈ



  • In questo schema, ripreso dalla filosofia delle Enneadi di Plotino (Leopoli, 203/205 - Campania, 270) c’è tutta la comparazione ’intersezionale’ tra la filosofia d’oriente e filosofia d’occidente, in questo caso l’origine del (neo) platonismo e la teoria dell’”illuminazione” del Buddha e della “buddità”. * Tra l’altro, Plotino era filosofo egizio, un ponte naturale, l’Egitto, tra Sud -Oriente-Occidente.
    * Come scaturisce dal Principio il mondo, molteplice e in divenire, di cui facciamo esperienza? secondo Plotino, non possiamo che parlare per immagini; in particolare la seguente: l’Uno produce il mondo, inizialmente come “mondo delle idee”, per generazione - ma Plotino parla anche di illuminazione o irradazione [èklampsis], emanazione o processione ecc. - servendosi, cioè, di diverse metafore, tutte, evidentemente, allusive e inadeguate ad esprimere l’inesprimibile scaturigine del tutto dall’Uno. L’inesprimibile è apofatico, cioè muto non perchè senza voce, ma solo ascoltabile nella coscienza-specchio di chi l’ascolta. Che è anche il presupposto paradossale di un possibile agnosticismo: il movimento immanente e trascendente è voce interiore, è la divinità in se stessi, è essere se stessi consapevoli del trascendimento, l’”ethos del trascendimento” di Ernesto de Martino.
    + Voglio ricordare che Plotino non è un cristiano, ma è stato ’saccheggiato’ dai cristiani, a tal punto da vedersi sviluppare, dal suo misticismo, la teoretica cattolica. La comparazione ’intersezionale’ permette una vicinanza di questo ’sentire filosofico’ con i capisaldi del buddismo e di altre teoretiche mistiche, di natura religiosa, ma anche laica e agnostica e finanche psicoterapica, come la lunga via che, attraverso la relazione con gli altri, giunge nuovamente a se stessi attraverso il trascendimento senza divinità esterne.

 

Per l'ermetismo il tema è il rapporto tra uomo e il dio  e il modo in cui l’uomo può coglierne l’essenza, può cogliere cioè l’essenza divina, elevando il proprio stato di coscienza attraverso la gnosi, un processo di natura sovrarazionale ottenibile attraverso l’illuminazione.

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stralcio comunicazione Ferdinando Dubla al convegno Scuola di Filosofia ”Giulio Cesare Vanini”, Manduria (TA) il 24 febbraio 2024.

 

ARGOMENTI TRATTATI: Confucio, Mo-Ti, il buddismo come pratica spirituale e come filosofia, l’”orientalismo” e l’imperialismo culturale dell’Occidente, il metodo di studio e di ricerca delle comparazioni ‘intersezionali’.

Convegno a cura della Scuola di Filosofia “Giulio Cesare Vanini” di Manduria.

Telegram: https://t.me/scuolafilosofiaVanini





venerdì 16 febbraio 2024

17 febbraio, i furori eroici di Iordani Bruni Nolani

 



”l’ocio non può trovarsi là dove si combatte contra gli ministri e servi de l’invidia, ignoranza e malignitade.”

“gravi tormenti, que’ razionali discorsi, que’ faticosi pensieri e quelli amarissimi studi”

- Un capolavoro assoluto, la riconciliazione tra lirismo poetico e filosofia raziocinante per il tramite di un pensiero magico, quello dell’infinito, che solo può cogliere la matematica cosmica dell’unità del molteplice. Li lessi che ero liceale, questi dieci dialoghi del Nolano e me ne innamorai. Come spiegare il “furore eroico”? Innanzitutto esso è applicato alla conoscenza, non ad una persona. Ma il soggetto di conoscenza è incommensurabile, e l’unico modo per dispiegarlo è non spiegarlo, ma “sentirlo” con passione intensa, talmente intensa da divenir furore ed eroica per la natura del soggetto stesso. Stampati a Londra nel 1585 - in un periodo per molti versi decisivo, in cui Bruno sviluppa in modo organico i motivi centrali della propria ricerca - raccolgono gli esiti di un confronto serrato con la tradizione neoplatonica e aristotelica, e sviluppano una teoria della conoscenza intesa come autentica riforma interiore, per trasformare il destino dell'uomo, strutturalmente limitato e finito, aprendolo all'esperienza della verità infinita.

- “un uomo cogitabundo, afflitto, tormentato, triste, maninconioso, per dovenir or freddo, or caldo, or fervente, or tremante, or pallido, or rosso, or in mina di perplesso, or in atto di risoluto;”

Lasciatemi, lasciate, altri desiri. Importuni pensier, datemi pace. Perché volete voi ch’io mi ritiri Da l’aspetto del sol che sì mi piace? Dite di me piatosi: — Perché miri Quel che per remirar sì ti disface? Perché di quella face Sei vago sì? — Perché mi fa contento, Più ch’ogn’altro piacer, questo tormento. Giordano Bruno, “Gli eroici furori”, parte II, dialogo primo

Ma andate via, lasciatemi, voi, altri desideri. Pensieri inopportuni, datemi pace. Ma perchè volete che abbandoni la visione del sole che mi piace tanto? Voi mi dite, pietosi: ma perchè guardi ciò che per guardare ti distrugge così? Perchè di quella visione sei così invaghito? - Perchè mi rende contento, più di ogni altro piacere, questo tormento.

(traslitterazione Ferdinando Dubla)

Alzare gli occhi al cielo, al sole, come nel mito della caverna di Platone, fa male e può rendere ciechi. Ma tale è la bellezza di rimirar l’universo infinito e gli infiniti mondi, che piuttosto che farmi importunare dai pensieri effimeri di desideri caduchi, accetto felicemente il tormento che dà la conoscenza / (fe.d.)





Nel settimo discorso del Commento al Convivio, Ficino descrive i vari gradi dell’ascesa dell’anima, ascesa che culmina nell’unione con Dio. In primo luogo, Ficino osserva che l’anima discende verso i corpi nel corso di un processo che si articola in quattro gradi distinti. Il primo livello è costituito dall’intelletto, che si identifica con la mente o νoνς di Platone; seguono, in ordine, la ragione, l’opinione e la natura. Questo ultimo grado, come è indicato anche da una analisi etimologica del termine, coincide con la nascita fisica. Osserva infatti Ficino che «natura» deriva da «nascor», ed indica pertanto la totalità delle cose generate. Per ritornare al suo principio divino, l’anima deve percorrere a ritroso i tre livelli, attraverso un processo che spinge l’uomo ad oltrepassare se stesso, a superare i limiti propri della sua natura, abbandonandosi alla «follia divina». Il processo di ascesa dell’anima coincide con un progressivo abbandono al «furor». Su questa base, Ficino osserva che esistono quattro specie di «furor», che corrispondono ai quattro livelli della ascesa: «il primo è il furore poetico; il secondo, il furore misteriale o sacerdotale, il terzo è il furore profetico, e il quarto è l’affezione d’amore» (Ficino, In Convivium, VII, XIX). [*De Amore o Commentarium in Convivium Platonis (1469), ndr]

Bruno riprende qui il concetto ficiniano secondo cui il furore poetico rappresenta il primo livello, all’interno della gerarchia in cui sono ordinati i diversi tipi di furore. Ricordiamo che, in Platone, l’ordine delle varie modalità in cui si manifesta il furore, è invertito rispetto alla classificazione proposta da Ficino (cfr. Fedro, 244a-245b).

commento di Nicoletta Tirinnanzi, Giordano Bruno, GLI EROICI FURORI - BUR Rizzoli, edizione digitale 2013



Vanni Schiavoni (poeta).sx e Ferdinando Dubla (filosofo).dx nella rappresentazione scenica "Fendo i cieli e all'infinito m'ergo" - reading "Giordano Bruno nella terra del 'rimosso'". Sava (TA), 17.02.2024