Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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mercoledì 8 gennaio 2014

Bisogna fermare l'attacco agli insegnanti e alla scuola pubblica


Continua il feroce attacco anche di questo governo, agli insegnanti e alla scuola pubblica: dopo l'estorsione del non pagamento delle ferie non godute, ecco il rimborso degli scatti con meccanismo retroattivo. Bisogna fermarli con tutti i mezzi. Ecco la riflessione di Aragno sul 'Il Manifesto' di oggi.

Fonte: Il Manifesto | Autore: Giuseppe Aragno

Insegnare il mondo senza capirlo



E’un tiro al pic­cione e non è que­stione di colore poli­tico. Come si parla di scuola e di inse­gnanti, tutti hanno un colpo da spa­rare, anche chi a scuola ci vive. Per­sino in una rifles­sione sen­sata ti puoi imbat­tere in un attacco gene­rico e super­fi­ciale. La scuola, sostiene Giu­seppe Mon­te­sano, scrit­tore e docente, «deve dire […]chi è Pla­tone, non può non dirlo, e non solo per­ché sta scritto nel misero pro­gramma mini­ste­riale, ma per­ché è il suo unico com­pito, la sua unica chance, deve spie­gare la geo­gra­fia astro­no­mica, i ter­re­moti, i pia­neti, le cose ele­men­tari e impor­tanti della cul­tura. Però si tratta di un punto di par­tenza, quando invece è con­si­de­rato il punto di arrivo, diven­tando così una stu­pida gab­bia, e non un gri­mal­dello per aprire la gab­bia. Que­sto non suc­cede solo per­ché molti inse­gnanti sono pigri, ripe­ti­tivi, figli di que­sta società e quindi uguali agli alunni, ma anche per­ché gli alunni ado­le­scenti hanno sì una grande poten­zia­lità, che gli inse­gnanti, adulti, in genere non hanno più, ma que­sta ener­gia spesso non sanno nem­meno di averla e non sanno che pos­sono usarla per sapere e capire il mondo: tutto gli inse­gna, dalla scuola alla fami­glia alla società, che il mondo devono solo accet­tarlo senza capirlo».

Gli inse­gnanti sono figli di que­sta società, scrive Mon­te­sano. E’ pro­prio così o si tratta di una banale gene­ra­liz­za­zione? Si inse­gna per qua­ranta anni; in ser­vi­zio ci sono, quindi, docenti nati negli anni Cin­quanta, che si sono for­mati quando la repub­blica era gio­va­nis­sima: anni Sessanta-Settanta. C’è chi è nato invece quando altri docenti com­ple­ta­vano gli studi o ini­zia­vano la car­riera e ha comin­ciato a inse­gnare negli anni Novanta. L’Italia era pro­fon­da­mente cam­biata. E c’è anche una terza gene­ra­zione, i più gio­vani, quelli entrati da pochis­simi anni. Anche qui le dif­fe­renze sono enormi e non sono figli di società uguali tra loro. Se poi società sta per epoca della sto­ria e indica in senso lato un mondo, un «tempo» con le sue carat­te­ri­sti­che gene­rali e la sua cul­tura, beh, que­sto è acca­duto e acca­drà sem­pre e nes­suno potrà evi­tarlo, ma le dif­fe­renza esi­stono ugualmente.

Gli sto­rici del Nove­cento non hanno inter­pre­tato i fatti della sto­ria tutti allo stesso modo e nes­suno si azzar­de­rebbe a soste­nere che gli arti­sti, diven­tati «adulti», per­dono la crea­ti­vità. Non si capi­sce per­ché, invece, i docenti peg­gio­rano con gli anni e lavo­rano tutti allo stesso modo. Si tratta di un’affermazione che non è solo gene­rica e super­fi­ciale, ma deci­sa­mente defor­mante, per­ché induce a riflet­tere su uno ste­reo­tipo di docente, un inse­gnante che non esi­ste, non sui docenti in carne ed ossa. Stesso discorso per la scuola, che, secondo Mon­te­sano, inse­gne­rebbe ad accet­tare il mondo senza capirlo. E’ un’affermazione molto par­zial­mente vera e somi­glia male­det­ta­mente a un luogo comune. Che la scuola sia figlia di un «tempo della sto­ria» è vero. Vero è anche, però, che in una società chiusa e repres­siva come quella russa della seconda metà dell’Ottocento, quando una riforma di carat­tere demo­cra­tico aprì le porte della for­ma­zione a tutti, anche ai figli dei con­ta­dini, i docenti «pro­gres­si­sti» tira­rono su la gene­ra­zione di rivo­lu­zio­nari che scar­dinò l’impero.

Nel Sud bor­bo­nico, dopo il 1848, le scuole pri­vate libere, come quella di De Sanc­tis, furono tutte chiuse: erano una minac­cia per l’ordine costi­tuito e la for­ma­zione fu affi­data al clero. Per non dire dell’Italia risor­gi­men­tale, che non fu mai larga di mani­che con la scuola — troppo alfa­beto fa male alla salute — ma si ritrovò coi mae­stri socia­li­sti che face­vano guerra all’analfabetismo nono­stante gli sti­pendi da fame.

Non c’è dub­bio, la scuola è figlia di un tempo sto­rico, ma dav­vero è pen­sa­bile che quo­ti­dia­na­mente tutti gli inse­gnanti si met­tano all’opera per con­vin­cere gli stu­denti che il mondo migliore è quello che hanno e devono accet­tarlo? E’ cre­di­bile che essi vadano a scuola per fare dei nostri ragazzi degli utili idioti, ras­se­gnati, imbot­titi di nozioni e inca­paci di capire? Tutti gli inse­gnanti, in tutte le nostre scuole? Le cose non stanno così. Ogni scuola, in realtà, è una sorta di repub­blica a sé, una col­let­ti­vità con carat­teri distinti, con inse­gnanti pigri, inse­gnanti attivi, lavo­ra­tori solerti, menti aperte e gente chiusa e ottusa. All’interno di ognuna delle nostre isti­tu­zioni sco­la­sti­che ci sono mani­poli di docenti che hanno un’idea eman­ci­pa­trice della for­ma­zione. Biso­gna stare attenti alle sem­pli­fi­ca­zioni. Esse hanno una valenza divul­ga­tiva, un impatto molto con­di­zio­nante e spesso sono dan­nose. Gene­ra­liz­zare vuol dire cogliere i carat­teri gene­rali e per­dere quelli par­ti­co­lari. I det­ta­gli, però, non sem­pre sono dati secon­dari e spesso sono deci­sivi per dise­gnare un pro­filo. Quando si dice tota­li­ta­ri­smo, per esem­pio, si rie­sce a met­tere age­vol­mente assieme fasci­smo, nazi­smo e bol­sce­vi­smo. Chiun­que si metta a guar­dar bene, però, si accorge che è un imbro­glio. Tre dit­ta­ture, certo, ma l’Italia fasci­sta non è la Ger­ma­nia nazi­sta e soprat­tutto nazi­smo, fasci­smo e bol­sce­vi­smo sono tre pia­neti lon­tani e pro­fon­da­mente diversi tra loro.

E’ vero, un inse­gnante deve dire chi era Pla­tone, ma è vero anche che non può farlo senza pas­sare per Socrate, senza indurre cioè a rifiu­tare un mondo che non si è capito.

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