Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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giovedì 25 aprile 2013

25 aprile



25 APRILE



La chiusa angoscia delle notti, il pianto

delle mamme annerite sulla neve

accanto ai figli uccisi, l’ululato

nel vento, nelle tenebre, dei lupi

assediati con la propria strage,

la speranza che dentro ci svegliava

oltre l’orrore le parole udite

dalla bocca fermissima dei morti

«liberate l’Italia, Curiel vuole

essere avvolto nella sua bandiera»:

tutto quel giorno ruppe nella vita

con la piena del sangue, nell’ azzurro

il rosso palpitò come una gola.

E fummo vivi, insorti con il taglio

ridente della bocca, pieni gli occhi

piena la mano nel suo pugno: il cuore

d’improvviso ci apparve in mezzo al petto.



Alfonso Gatto

giovedì 11 aprile 2013

Non basta riabbracciare la bandiera





Identità e profilo politico


Le sconfitte elettorali non possono divenire la sconfitta politica di un progetto ancorato a valori forti e che trova ragioni nella straordinaria modernità dei conflitti di classe. Negli anni che ci separano dallo scioglimento del PCI, i nostri limiti soggettivi si sono incrociati con l’egemonia sempre crescente di una destra che si è sempre più radicata nel tessuto collettivo e negli atteggiamenti individuali di sempre più larghi strati della popolazione. E ciò a dispetto di una crisi economico-sociale che ha depauperato le materiali condizioni di vita dei ceti popolari. In sintesi, la base oggettiva delle contraddizioni non ha “rischiarato” la coscienza di classe. Questo paradosso ha reso più urgente e acuta la questione comunista, ma non della mera ‘presenza’ di un partito che abbia nel suo orizzonte strategico il superamento del capitalismo, semmai di un’organizzazione che lavori e lotti nel quadro politico perché quell’orizzonte si sostanzi di conquiste in controtendenza per il mondo del lavoro e avvii una fase di inversione dei rapporti di forza.

Così come la dicotomia - nodo delle alleanze (tattica)/obiettivi per una trasformazione strutturale del sistema (strategia) - ha il suo parametro di valutazione nell’efficacia dell’azione politica, così il nesso tra identità e profilo politico in un partito comunista non decide della coerenza ‘ideologica’ o in astratto della ‘purezza’ dei princìpi, ma del suo radicamento di classe e popolare. E’ un circolo virtuoso che non abbiamo messo in movimento: l’efficacia dell’azione politica per i ceti subalterni e non la sola ‘rappresentanza’ in astratto, alimenta il radicamento popolare dell’organizzazione politica dei comunisti. Questa, a sua volta, rafforza l’efficacia reale e l’efficacia percepita dalle grandi masse.

Prima di sparare sul quartier generale, però, sottolineando solo i limiti e le carenze dei gruppi dirigenti (che ci sono indubbiamente stati), ci sarebbe da rilevare il dato oggettivo: le regole del gioco elettorale, il terreno di gioco politico, su cui si palesano nel nostro paese gran parte delle possibilità di incidere in maniera pur parziale sulle condizioni del lavoro e del disagio sociale, non sono determinate dai comunisti e, anzi, sono stabilite in funzione anticomunista. L’espulsione della cosiddetta sinistra ‘radicale’ dalle aule del Parlamento è stata la conditio sine qua non dei governi della destra e della dirigenza ‘maggioritaria’ del Partito Democratico in Italia, con leggi elettorali che alterano in maniera pericolosa la rappresentanza politica e della società.

Autoreferenzialità e autosufficienza

Uno degli errori più evidenti, sebbene sottaciuto, che il PD ha compiuto nell’ultima consultazione elettorale, è stata la presunzione di autosufficienza. E’ una presunzione che in Italia viene pagata a caro prezzo, perché il nostro è un paese complesso, articolato, nelle idee, nei valori e nella rappresentatività di una società civile comunque plurale. Scimmiottare l’esperienza statunitense è già costato sconfitte e rovesci pesanti per l’ex DS-PDS e nonostante questo non trae lezioni appropriate. Oggi si trova a dover fare i conti con un movimento, il 5 stelle di Grillo, eclettico e imprevedibile nella sua smania antipolitica e con venature palesemente qualunquistiche. I democratici hanno rifiutato ogni tipo di alleanza con la lista Ingroia e ancor prima con i partiti della Federazione della Sinistra disponibili, il PdCI tra questi, a un’interlocuzione possibile sui programmi e sulle candidature, alleanza necessitata appunto da una legge elettorale liberticida e antidemocratica. Una alleanza che avrebbe probabilmente costituito la vittoria del centro-sinistra.

Ma l’autosufficienza del PD, partito moderato che ha bisogno di una seria apertura a sinistra per poter ritrovare le ragioni della centralità del lavoro e di una rappresentanza di una buona parte del suo stesso elettorato e della sua militanza, non è un male isolato. Anche la sinistra comunista ne può essere artefice e vittima. Naturalmente non nei termini dell’ autosufficienza, ma dell’ autoreferenzialità ed è un pericoloso riflesso condizionato dal non raggiungimento dei minimi obiettivi che ci si era posti. Ma il fatto di non aver raggiunto obiettivi tattici, pur importanti, non deve indurre alla mera consolazione di riabbracciare la bandiera. Gesto nobile e identitario, di cui c’è anche un gran bisogno, ma, appunto, autoconsolatorio e sterile perché meramente testimoniale. La tradizione del PCI, a cui sempre rimandiamo molte nostre questioni con generosità, specie verbale, in quasi tutte le sue fasi storico-politiche ha combattuto il settarismo e la rinuncia all’efficacia dell’azione politica, con le grandi lezioni di Gramsci e di Togliatti. Uno dei grandi lasciti togliattiani è il primato della politica, da non confondere con la sua autonomizzazione e separazione dalla rappresentanza, ma soprattutto mai dai sentimenti e le semplificazioni dei più larghi strati della popolazione e da quello che Gramsci chiamava «senso comune» .

Senso comune e leadership

Il senso comune, da cui si deve partire per trasformarlo in un’emancipazione costruttrice di una nuova egemonia, oggi si forma attraverso canali diversi rispetto al passato, soprattutto attraverso la cittadella mediatica che ha visto riposizionarsi tutti i vari strumenti con cui le classi dirigenti veicolano il consenso. Riposizionamento non significa cancellazione dei mezzi tradizionali, ma la complessa articolazione sociale permette la scelta dei diversi media a disposizione. Il vettore mediatico, però, si nutre di leadership, come in passato, più che nel passato. E ciò significa che la costruzione democratica e l’avanzata degli stessi ideali comunisti nell’arena politica, ha da fronteggiare questa situazione. La leadership moderna non è solo la soggettività forte e giusta al comando: è sempre di più una capacità di rivestire una funzione, quella rappresentativo-simbolica, di rispecchiamento, delle idee, dei valori, delle varie opzioni politiche in campo. Noi comunisti abbiamo curato poco questo aspetto: la leadership nasce e si sviluppa innanzitutto con il reciproco riconoscimento identitario, anche se, come si è scritto, non deve essere fine a se stesso (cioè autoreferenziale). Ma da lì bisogna partire. Un solo esempio, ma importante: non siamo stati capaci, dopo l’esperienza di “Rinascita”, di trovare il modo per fare ‘comunità’, per far circolare le idee e le esperienze dei vari territori, delle plurime riflessioni, per riconoscerci l’un l’altro e rimotivarci alla militanza e alla formazione permanente dei quadri. E dunque la necessità di alimentare i nostri ideali con il coraggio delle nuove generazioni, di saper costruire le esperienze nella battaglia sociale dentro le contraddizioni stridenti del sistema capitalista, si vede priva di uno strumento così indispensabile. E’ solo un esempio di come riabbracciare la nostra amata bandiera si può e si deve e serve anche, ma da sola non basta. Il senso di appartenenza è il sentimento preminente per la coesione di un gruppo sociale: lo è ancor di più per l’organizzazione di un partito comunista, purchè funzionale all’unità di classe per l’unità della sinistra. La frantumazione sociale della classe è un ostacolo serio al nostro radicamento: ecco la principale ragione per conservare strategicamente il compito di unire la sinistra, in un’assoluta autonomia politica e una stringente lettura marxista non solo dei fatti storici, ma degli eventi sociali e delle loro connessioni interne che ne svelano l’arcano di sistema. Insomma, senza “fare politica”, anche la nostra analisi più profonda e rivelatrice, si tradurrebbe in sterile esercizio retorico. Così come senza analisi, il “fare politica” si rivelerebbe come adeguamento, opportunismo senza princìpi.

Il partito dei comunisti italiani ha lavorato e lavorerà nella oscurità non casuale delle sue posizioni; non chiediamo concessioni ai media controllati dai poteri dominanti: essi non ce ne faranno fino a quando non ripristineremo un protagonismo dell’efficacia concreta, il “pesare” per lo spostamento di equilibri. E’ necessaria una nostra limpida riconoscibilità e una più marcata caratterizzazione: nella temperie attuale del dominio del capitale finanziario, noi dobbiamo rivendicare con sempre più determinazione lo Stato del Welfare, dei servizi sociali, dei beni comuni, della pubblicizzazione dei settori strategici dell’economia. In controtendenza, per l’affermarsi della centralità del lavoro, della cultura, della scuola, dell’arte e del paesaggio, perché il socialismo che vogliamo è la società della conoscenza, della rete dei saperi, della formazione e della qualificazione collettivi, contro l’imbarbarimento dell’omogeneizzazione culturale, dell’ineguaglianza e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. La vera scommessa per l’avvenire è ancora il socialismo, e non ci sarà socialismo senza un forte partito comunista, di quadri e di massa.

ferdinando dubla – segreteria prov. PdCI—Taranto, Marx XXI°, Taranto, aprile 2013

editoriale Lavoro Politico aprile 2013


sabato 6 aprile 2013

Il 10 aprile della FLC-CGIL: la lettera di Domenico Pantaleo ai neoeletti in Parlamento


Care neo elette, cari neo eletti alla Camera e al Senato,


Presidente della Camera, Laura Boldrini e Presidente del Senato, Piero Grasso,
la politica è stata assente per più di un decennio, non si è mai posta il problema del precariato, e lì dove è intervenuta ha solo peggiorato le condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori.
Parole come responsabilità, meritocrazia, sacrifici sono diventate macigni sulla testa di una intera generazione che ha visto la propria dignità mortificata e la propria vita precarizzata in nome di una crisi finanziaria che andava affrontata in modo radicalmente diverso rispetto alle devastanti politiche di austerità.

La politica negli ultimi anni ha tagliato le risorse alla Scuola, all'Università, alla Ricerca, all'AFAM. In realtà dietro quei tagli vi era una idea inaccettabile di società che anziché superare le enormi disuguaglianze ha riproposto una divisione di classe non garantendo più a tutti il diritto al Sapere. Non si è voluto prendere atto che il vecchio modello di sviluppo e le enormi disuguaglianze sono state le vere cause della crisi. Ci vuole una nuova visione del futuro del Paese e dell'Europa partendo dal valore del lavoro.
Noi che lavoriamo all'interno dei luoghi della conoscenza proviamo sempre a dare senso alle parole e crediamo che essere responsabili oggi significhi assumersi l'impegno di dare delle risposte chiare alle tante donne e ai tanti uomini che oggi sono fuori dal mercato del lavoro, a chi non riesce ad entrarci, a chi rischia di essere condannato a una condizione di povertà, a chi viene escluso dalle tutele e dai diritti sociali.

Il diritto al sapere e al lavoro sono i moderni beni comuni per garantire ad ogni persona effettiva libertà e non essere costretti a subire umiliazioni e ricatti.

Per questi motivi, noi che ci impegniamo nella FLC CGIL lanciamo per il 10 aprile un presidio nazionale sotto il Ministero dell'Istruzione. Non vogliamo un'iniziativa di parte perché siamo convinti che per superare la precarietà serve una vasta rete di alleanze sociali e politiche. Il conflitto, la funzione dei corpi intermedi e dei movimenti sono decisivi per ridare un senso alla rappresentanza politica e sociale.
Non vogliamo più avere a che fare con i tanti Berlusconi, Gelmini, Tremonti, Brunetta, Monti, Profumo, Fornero che della Conoscenza e dei Saperi hanno fatto carta straccia e del diritti dei lavoratori macelleria sociale.
Occorre un impegno civile di tutti i cittadini che hanno a cuore la sostenibilità sociale e ambientale e che vogliono ricostruire un nuovo patto intergenerazionale.
È necessario impegnarsi perché i precari siano rappresentati nei luoghi di lavoro perché senza Democrazia la politica resta vecchia, il Lavoro perde valore e le persone sono più sole.
È necessario investire in Conoscenza e in Ricerca, avviare piani di stabilizzazione dei precari e aumento degli organici nelle scuole, università, enti di ricerca e AFAM. I tagli della legge 133/08 devono diventare un lontano ricordo e per questa ragione la FLC CGIL ha proposto un piano d'investimenti aggiuntivi di 20 miliardi in cinque anni.
Bisogna ridare centralità al Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro perché non è più possibile avere dei luoghi in cui convivono lavoratori di serie A e lavoratori di serie B. Ferie, malattia, maternità, orari di lavoro non devono essere più una chimera per chi non ha un contratto a tempo indeterminato. Ma noi vogliamo andare oltre prevedendo che i processi di stabilizzazioni possano essere affidati anche alla contrattazione.
È fondamentale applicare gli articoli 3 e 34 della nostra amata Costituzione attraverso una legge quadro per garantire l'accesso all'Istruzione alle persone prive di mezzi perché tutti i cittadini abbiano il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. Lo studente è una risorsa su cui investire, non su cui speculare; non può essere trasformato in debitore dello Stato attraverso il prestito d'onore.
Non è più rinviabile l'introduzione di un progetto esteso ed inclusivo di welfare e tutele sociali per tutti i precari. L'universalizzazione di Aspi e miniAspi e l'introduzione di un reddito minimo garantito sono misure oggi necessarie per rimuovere le disuguaglianze esistenti nel mondo del lavoro e per affermare la piena autonomia sociale di un intero popolo di sfruttati.
Il 10 aprile sarà per noi l'ennesima occasione di ribadire alla Politica e alle Istituzioni la necessità di un radicale cambiamento per uscire dalla crisi. L'esito del voto del 24 e 25 febbraio segna una nuova fase nella quale deve essere sanata la frattura tra condizione sociale e rappresentanze politiche e sociali. La FLC CGIL che è stata in campo in questi anni per ricomporre le diverse condizioni di lavoro nei comparti della Conoscenza intende raccogliere questa sfida. Noi non abbiamo modificato valori e coerenze! Ma è anche la “politica” che deve cambiare passo per trasformare il Paese. Se il lavoro non c'è o è precario non ci potrà mai essere giustizia sociale e si allargherà la sfiducia nelle istituzioni e nei partiti che rimangono l'architrave della democrazia.

Domenico Pantaleo,

Segretario Generale FLC CGIL

Il 10 aprile della CGIL per i per precari, per la scuola, per la conoscenza