Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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domenica 30 dicembre 2012

martedì 25 dicembre 2012

Pucciarelli su Migromega: di che deve giustificarsi Ingroia?


Antonio Ingroia si candida e nel farlo deve chiedere pure scusa. Ovvio: dopo che per decenni abbiamo avuto come leader politici puttanieri, banchieri, ladri conclamati, gente in odore di mafia e burocrati che a 8 anni facevano i discorsi con presente Palmiro Togliatti, appena ti arriva una persona per bene – sulla cui onestà neanche il peggior nemico ha mai osato proferire parola – gli si domanda: «Oh ma sei diventato scemo?».

E allora Ingroia è lì, in balia di conduttori televisivi e commentatori diventati improvvisamente rigorosissimi, a doversi giustificare. Nel Paese delle controriforme, degli assassini che tornano a casa omaggiati dal Capo dello Stato, del pensiero unico dominante per cui dopo un anno di governo Monti tutti gli indici economici sono peggiorati eppure «Monti ha messo a posto i costi», delle grandi opere che vanno fatte per forza ma nessuno ha capito perché, dei grandi manager osannati come eroi e che poi si rifanno sulla pelle degli operai non rispettando le sentenze, ecco in questo Paese un magistrato che ha portato avanti le proprie idee senza girarsi dall’altra parte – le idee della nostra Costituzione – passa per un sovversivo.
Ed è vero, probabilmente: Ingroia è un sovversivo rispetto all’Italia che ci troviamo davanti. Dove la destra è in balia di un vecchio e schizofrenico miliardario, dove il centro è in balia come sempre dei voleri del Vaticano – scusi, ma l’Imu? – e dove la sinistra è in balia dei dettami neoliberisti di Bruxelles, tacciati per impegni irrinunciabili: tagli al welfare e ciao.
L’Italia dei normali invece chiede impegni veri e forti per combattere l’evasione e la corruzione; l’Italia dei normali sa che il 10 per cento della popolazione detiene il 50 per cento della ricchezza e forse accanirsi con pensionati e precarie non è eticamente corretto; non chiede missioni militari ma diritti sociali e civili; l’Italia dei normali pretende il lavoro per tutti, un lavoro dignitoso, e lo pretende giustamente perché è su quello che si fonda la nostra Costituzione.
Per questo, nel Paese del mondo alla rovescia camminare in direzione ostinata e contraria non è un vezzo. È un dovere.
PS. Silvio Berlusconi è stato premier tre volte dopo essersi misurato con il voto, per fortuna e purtroppo. Monti vuol esserlo la seconda volta, e anche questa senza candidarsi. Nel Paese alla rovescia succede, e succede con estrema naturalezza.


di Matteo Pucciarelli

FONTE: MICROMEGA ONLINE


domenica 23 dicembre 2012

IO CI STO -- I dieci punti










I promotori sono espressione della società civile e della politica pulita che vuole costruire un’alternativa di governo al berlusconismo e alle scelte liberiste economiche, sociali e culturali del governo Monti.



L’alternativa di governo si costruisce con una forza riformista che ha il coraggio di un proprio progetto per uscire dalla crisi e rilanciare l’Italia finalmente liberata dalle mafie e dalla corruzione.



Abbiamo come riferimento imprescindibile la Costituzione Repubblicana, a partire dall’art. 1 secondo cui il lavoro deve essere al centro delle scelte economiche. Per noi l’Unione Europea deve diventare autonoma dai poteri finanziari con organismi istituzionali eletti dai popoli ed è fondamentale il cambiamento della Casta politica e burocratica italiana mentre lo sviluppo del mezzogiorno è l’unica scelta per unificare il Paese.







1) Vogliamo che la legalità e la solidarietà siano il cemento per la ricostruzione del Paese;



2) Vogliamo uno Stato laico, che assuma i diritti della persona e la differenza di genere come un’occasione per crescere;



3) Vogliamo una scuola pubblica che valorizzi gli insegnanti e gli studenti con l’università e la ricerca scientifica pubbliche non sottoposte al potere economico dei privati e una sanità pubblica con al centro il paziente, la prevenzione e il riconoscimento professionale del personale del settore;



4) Vogliamo una politica antimafia nuova che abbia come obiettivo ultimo non solo il contenimento, ma l’eliminazione della mafia, e la colpisca nella sua struttura finanziaria e nelle sue relazioni con gli altri poteri, a cominciare dal potere politico;



5) Vogliamo che lo sviluppo economico rispetti l’ambiente, la vita delle persone, i diritti dei lavoratori e la salute dei cittadini, e che la scelta della pace e del disarmo sia strumento politico dell’impegno dell’Italia nelle organizzazioni internazionali, per dare significato alla parola “futuro”. Vogliamo che la cultura sia il motore della rinascita del Paese;



6) Vogliamo che gli imprenditori possano sviluppare progetti, ricerca e prodotti senza essere soffocati dalla finanza, dalla burocrazia e dalle tasse;



7) Vogliamo la democrazia nei luoghi di lavoro, il ripristino del diritto al reintegro se una sentenza giudica illegittimo il licenziamento e la centralità della contrattazione collettiva nazionale;



8) Vogliamo che i partiti escano da tutti i consigli di amministrazione, a partire dalla RAI e dagli enti pubblici, e che l’informazione non sia soggetta a bavagli;



9) Vogliamo selezionare i candidati alle prossime elezioni con il criterio della competenza, del merito e del cambiamento;



10) Vogliamo che la questione morale aperta in Italia diventi una pratica comune e non si limiti alla legalità formale, mentre ci vogliono regole per l’incandidabilità dei condannati e dei rinviati a giudizio per reati gravi. Vogliamo ripristinare il falso in bilancio e una vera legge contro il conflitto di interessi ed eliminare le leggi ad personam.







Queste sono alcune delle ragioni per un governo democratico di cambiamento.



Per realizzare questi obiettivi si decide di aprire il confronto con i movimenti e le forze democratiche del Paese.   MANIFESTO PER LA CONVOCAZIONE DELL’EVENTO

DEL 21 DICEMBRE A ROMA AL TEATRO CAPRANICA

giovedì 13 dicembre 2012

Docenti precari: dovete assumerli dice l'Unione Europea

Scuola / L'ANIEF CHIEDE DI APPLICARE UNA DIRETTIVA DEL 1999


L'illegalità in cui lo stato italiano vive da 13 anni è stata più volte condannata dai giudici del lavoro. A Trani, una sentenza ha trasformato una decina di contratti a tempo determinato in assunzioni stabili. Lo Stato è stato condannato al pagamento di 25 mila euro a ricorrente per abuso di contratti a termine e al pagamento degli scatti biennali di anzianità. L'Anief, e la Flc-Cgil, fanno sapere di avere presentato 8 mila denunce, e un centinaio di casi sono stati già discussi da Nord a Sud. Ieri la Commissione Europea ha confermato l'esistenza di un'indagine «sull'apparente assenza di veri rimedi quando c'è abuso di questo tipo di contratti per tutto il personale scolastico, non solo insegnante».

La Commissione ha ricordato che «la direttiva chiede che si adottino delle misure e le stiamo aspettando da parte dell'Italia». Ma l'Italia non intende soddisfare questa richiesta al punto che, nel 2011, ha emanato una legge (la 106) con la quale ha derogato alla direttiva comunitaria e ha escluso di poterla adottare nella scuola. Per allentare la presa della Commissione è stato previsto un piano triennale di assunzione dei precari (all'incirca 20 mila all'anno) che però è giunto al termine. Le prospettive di stabilizzazione, nella scuola come in tutta la pubblica amministrazione, non sono rosee. Il ministro della funzione pubblica Patroni Griffi ha escluso questa possibilità, sebbene orma i il 15% del personale sia precario e, stando ai dati dell'Aran, negli ultimi sei anni sono scomparsi 200 mila posti di lavoro, di cui la metà sono precari e l'altra metà di ruolo. «Se il nostro Paese vuole stare in Europa - afferma Pacifico - deve obbligatoriamente rispettare le procedure che Bruxelles impone sul diritto del lavoro e sulle assunzioni dei cittadini che vi operano». La Commissione Europea ha avviato una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia per l'abuso dei contratti a tempo determinato nella scuola.

La svolta è arrivata pochi giorni dopo la consegna di centinaia di denunce presentate dai docenti precari attraverso il sindacato Anief. La settimana scorsa il segretario Marcello Pacifico si è recato a Bruxelles e a Strasburgo per sollevare il caso che aprirà la strada ad una serie infinita di denunce. Pacifico sostiene che nei prossimi mesi saranno almeno 8 mila persone a ricorrere in Europa per aprire altrettante procedure di infrazione.Un caso unico nella storia comunitaria. I tempi del giudizio saranno abbastanza ristretti. In un mese la Corte europea valuterà se la denuncia è ammissibile e in un anno potrà essere trasformata in procedura di infrazione. Se il legislatore italiano non si adeguerà alla direttiva, verrà messo in mora e condannato a pagare una multa che può arrivare fino a 8 milioni di euro. Soldi che non saranno destinati ai ricorrenti, ma alle istituzioni europee.

Dal 1999 i governi italiani non rispettano la direttiva comunitaria n˚70 che obbliga i datori di lavoro ad assumere a titolo definitivo il personale che ha svolto almeno 36 mesi di servizio negli ultimi 5 anni. Una situazione che riguarda la maggioranza dei 200 mila precari che lavorano nella scuola, 30 mila sono iscritti nella quarta fascia di insegnamento, 136 mila sono i docenti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento, e c'è anche il personale amministrativo. Tutti vengono assunti all'inizio dell'anno scolastico per una o più supplenze, in una o più scuole, e vengono licenziati il 30 giugno, al termine delle lezioni e degli scrutini.

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ALMENO 8 MILA Nei prossimi mesi, dopo la procedura d'infrazione avviata dalla Comunità europea, saranno almeno 8 mila i docenti a ricorrere contro un'illegalità di Stato che dura da 13 anni   Fonte: il manifesto
Autore: Roberto Ciccarelli

sabato 8 dicembre 2012

Il paradosso di Roszak nel mare di Taranto

Theodore Roszak, studioso americano, ha constatato un paradosso: prima l’uomo crea la macchina e poi l’assume come modello ideale da imitare. In definitiva, l’uomo si è rivelato capace di sottomettere la natura al suo volere, ma al prezzo di trasformare la realtà in cui vive in “un universo di alienazione congelata”, di rendere il dominio dell’universo “un possesso senza valore”. Vivere vuol dire invece partecipare alla realtà, “vedere, toccare, respirare”, perché qui risiede il fondamento ultimo dell’esistenza. [cfr. Theodore Roszak, La nascita di una controcultura. Riflessioni sulla società tecnocratica e sulla oppressione giovanile, Feltrinelli, 1971 (1968); dello stesso Roszak si veda, The voice of the Earth, Simon and Schuster, New York, 1992 e con Mary Gomes, Allen Kanner, Ecopsychology, Sierra Club Books, San Francisco, 1995].


Il termine ecopsicologia nasce nel 1989, con l’obiettivo di unificare con un unico termine diversi filoni di lavoro già esistenti, ognuno con diverso nome: psicologia verde, ecologia transpersonale, ecoterapia, ecc.. Un gruppo di accademici di Berkeley – Elan Shapiro, Alan Kanner, Mary Gomes e Robert Greenway – creano un gruppo di studio per discutere del contributo che la psicologia può dare a una diversa gestione della contemporanea crisi ecologica. La pratica dell’ecopsicologia non è legata a tecniche specifiche, ma alla capacità di creare percorsi che permettano di far sperimentare, a individui e gruppi, un più profondo senso di connessione con la dimensione naturale e di integrità personale. Ma l’ecopsicologia può considerarsi terapia dell’anima solo se nasconde a se stessa la radice causale dei sintomi, radice di classe.

Quale rapporto esiste tra Roszak e l’ecopsicologia con la vicenda dell’Ilva di Taranto? Forse nessuno, se non fosse che per i cittadini e i lavoratori della città jonica anche le ripercussioni psicologiche sono devastanti e nessun decreto calato dall’alto potrà cancellarne le conseguenze.

Sul piano del lavoro: la minaccia della perdita del proprio vitale sostentamento si coniuga con una coscienza di classe dimezzata; il proprio lavoro, già in pericolose situazioni di sicurezza, uccide.

Sul piano della salute: ognuno ha il timore delle forme patologiche che la devastazione ambientale può produrre, iniziando un calvario senza speranza.

Sul piano dell’ambiente: vedere trasformato il proprio luogo, il territorio in cui si è radicati, in un sito inquinato in cui si perde identità e senso di appartenenza.

E’ un furto irreparabile: il profitto di pochi rompe l’integrità psicofisica non di un singolo individuo, ma dell’intera collettività. Anche i limiti dell’ecopsicologia annegano nel mare di Taranto.

(Ferdinando Dubla)

mercoledì 5 dicembre 2012